I nuovi Novismi di un paese vecchio.

“Il nuovo non è bello, e il bello non è nuovo”. (attribuita a Johann Heinrich Voss)

Le origini.

Il 1975 è l’anno in cui Bill Gates fondava la sua Microsoft, in cui la Juventus vinceva il suo 16° scudetto e Fellini l’Oscar per “Amarcord”, l’anno del massacro del Circeo, della morte di Francisco Franco e di Mara Cagol e, mentre i russi, erano impegnati a mandare in orbita il Sojuz 17 con Gubarev e Grecko a bordo, a Firenze nasceva Matteo Renzi.

 Chi è Matteo Renzi?

Matteo Renzi è un dottore in giurisprudenza, imprenditore, ex Dc, ex Margherita, ex presidente della Provincia di Firenze, sindaco di Firenze e attuale candidato alle primarie del centrosinistra.

Renzi è il classico bravo ragazzo, di quelli che le ragazze portano in casa senza troppi patemi d’animo, uno di quelli che fa innamorare mamma e nonna e colma il malcelato desiderio, del padre, di un mancato figlio maschio.

Renzi è un boyscout nell’anima, un vecchio lupetto.

In realtà Renzi non è niente altro che il fallimento di una intera classe dirigente che non ha saputo sopportare il peso di un’eredità troppo pesante ed ingombrante.

Cos’è Matteo Renzi?

Renzi lo vedo come una pianta, come l’edera che, se cresce, specialmente sul muro di una casa, è bella, decorativa, coreografica, ma va tagliata, indirizzata, bisogna fare in modo che dia quel tocco in più alla casa, senza ricoprirla.

E’ un gradevole ragazzo di 37 anni, un buon amministratore locale, esperienza che lui giudica sufficiente per governare un paese, con un accento fiorentino, che risulta sempre simpatico, e tanta voglia di fare.

Che significato ha l’idea di Renzi della “rottamazione” ?

Il nuovo modo di interpretare la politica degli ultimi venti anni ha lasciato vari insegnamenti non scritti, fra i quali: “il popolo può diventare un pubblico” e “basta che se ne parli”. Quest’ultima, che potrebbe benissimo essere una massima di Lele Mora da Milano, in realtà è una regola che appartiene al mondo del gossip, ma che tanto ha fatto anche per la notorietà di molti esponenti politici del nostro tempo.

In un valzer di dichiarazioni e smentite, proprio come succede in televisione, si sono persi i contenuti e quelli che emergono sembrano equivalersi all’interno di un dibattito politico che assomiglia sempre di più ad un talk show di basso rango, da tv locale.

La famosa “rottamazione” è un termine, per stessa ammissione del coniatore, nato così come nascono i soprannomi fra amici. La sua bravura è stata quella di cavalcare uno slogan efficace e conciso per evidenziare il messaggio politico racchiuso nel tour dal titolo mutevole: “Adesso! Matteo Renzi” fino al meno egoico “Cambiamo l’Italia Adesso!”.

Il fattore anagrafico non c’entra, è un diversivo, dibattere sul dualismo vecchi giovani non ha senso, si parla di categorie astratte, di cui non si può valutare la qualità dei singoli, caso per caso.  E qualora si potesse si rivelerebbe un’operazione inutile.

Coloro che, oggi, hanno fallito erano i giovani rampanti dell’epoca, i delfini designati dopo anni di gavetta.

L’Italia è un paese antico e anziano, pieno di storia e pieno di anziani, ma questo è un dato di fatto, l’elemento di partenza, il Big Bang dal quale nasce la nostra discussione e uno dei fattori di successo dei nuovi qualunquismi.

Ripeto, niente di nuovo.

Ultima cosa: volere i giovani non ha nessun significato, è come quando si giustifica la proposta dei due mandati parlamentari con la profezia “così non ruberanno”.

Non dovrebbero rubare perché hanno solo due mandati? Mi sembra piuttosto ingenua come speranza, se proprio vorranno rubare, tenteranno di farlo più in fretta.

Volere i giovani non significa niente, dovremmo trovare un modo per far sì che il ricambio generazionale sia regolare, magari graduale, ma regolare, certo, in una giusta alternanza fra l’entusiasmo per il futuro, una memoria fresca di nozioni appena apprese e l’esperienza, il sapere.

 In cosa ha sbagliato il gruppo dirigente del PD?

La svolta della Bolognina, culminata nel 1991, non era altro che una sfida e come tutte le sfide, si possono vincere, ma si possono anche perdere.

Il successo che riscuote Renzi è la prova del nove, quella sfida è stata persa dall’attuale segreteria del Pd.

In quel teatro si doveva seppellire un nome, Partito Comunista Italiano, e dare nuove prospettive a quello che doveva essere un partito aperto, partecipato e riformista. In realtà, messo da parte quel nome e quella storia così ingombrante, non se ne è saputo tirarne fuori un’altra, non si è riusciti a dar seguito a quel progetto, a dargli un respiro moderno, contemporaneo con i tempi, con i mutamenti.

Oggi il Pd si trova nelle medesime condizioni della Chiesa cattolica, con la differenza di non avere un leader così certo.

La chiesa non ha saputo rinnovarsi, non ha interpretato i tempi e se lo ha fatto, lo ha fatto troppo in ritardo ed ora più che un organo unitario sembra un insieme di bande, in lotta fra loro per cercare di avere una fetta di potere in più.

Il partito si è aperto, anche troppo, smarrendo la sua vera anima, fra ex democristiani e margheritini, non ha saputo inglobare le differenti anime, i diversi apporti, che via via i protagonisti proponevano, li ha semplicemente accorpati, come una protesi.

Senza troppi giri di parole, gli argomenti più forti di Renzi sono gli “atti mancati” di questa classe dirigente, ecco perchè Renzi è la controprova del loro fallimento.

Renzi rappresenta il nuovo?

Matteo Renzi non è nuovo in niente. Non è il primo qualunquista, da Giannini a Grillo è lunga la lista, non è il primo che prova a metterci la faccia, l’hanno già fatto Veltroni, Franceschini e Bersani, prima di lui; anche nella dialettica, non è innovativo è semplicemente la copia moderna e rivista del primo Berlusconi e di un candidato per il Congresso americano, impegnato in una perenne campagna elettorale, in giro per le città dello Stato che spera di dover rappresentare.

Ecco Renzi sta bene nel ruolo di candidato, perché è nato per fare il candidato, coltivo il timore che il peggio che gli si potrebbe augurare è di vincerle queste primarie.

E allora da consigliere, con la fama dell’ illuminato, dovrebbe trasformarsi in “capobastone”, toccherà a lui prendere decisioni e le responsabilità che ne conseguiranno.

Allora non basterà più indicare ciò che altri hanno fatto di sbagliato o cosa si dovrebbe fare. Lo si dovrà fare.

Del primo Berlusconi ha anche un’altra peculiarità: i suoi elettori sono molti nei sondaggi, ma pochissimi nella vita quotidiana.

Per la mia esperienza e il riassunto conciso di altre esperienze, non ho conosciuto molto “renziani”. E questo un po’ mi spaventa.

La novità di Renzi è la sua specialità nel decoupage e nella sua alienata militanza, dentro il Pd, come dimostra il suo programma e l’assenza delle bandiere del Partito durante i suoi comizi.

 Cosa dice il suo programma?

Il programma si trova su www.matteorenzi.it e sono 12 punti. I titoli vanno da:

punto 1) Ritrovare la democrazia;

punto 8) Uno Stato semplice: dalla parte dei cittadini;

punto 9) Il modello italiano. Cultura, turismo, sostenibilità;

punto 11) Diritti all’altezza dei tempi;

per arrivare al punto 12) Il più importante (la Rete);

La prima impressione che ho avuto dopo aver letto il programma è stata: non basta scrivere un programma per poter dire di avere un programma con cui governare un paese.

Il programma è un riassunto di buoni propositi, soluzioni che sono state utili in contesti diversi e per tutto il resto c’è Internet come la panacea di tutti i mali in eccedenza.

A Renzi manca il foglio del come, di recente un mio amico parlandomi proprio di Renzi e di Grillo ha pronunciato la parola “format” e non penso lo abbia fatto sbagliando.

“Format” e “programma” sono termini che hanno una “declinazione televisiva”, vengono usati sia nel gergo televisivo sia in quello politico, ancora una volta il linguaggio come indicatore sull’attuale stato delle cose.

Questi nuovi “cowboys” del malcontento popolare propongono più un format che un programma elettorale, che a questo punto, diventa quasi un accessorio, per non farsi trovare impreparati alle possibili domande a riguardo.

E’ questo ciò di cui questo paese ha bisogno? Si esce dalla crisi con i video di Obama? Con uno spettacolo sempre uguale, che poco ha a che fare con la ripetitività già di per sè insita in una campagna elettorale, ma si avvicina, almeno per sensazione, alle repliche di uno spettacolo teatrale. Le idee sembrano più essere uno degli elementi del tutto e nemmeno fra quelli più solidi.

Come ne è uscito dal dibattito fra i candidati del centrosinistra? 

Bene, secondo me è proprio Renzi quello che ne è uscito meglio. Ho sentito qualcuno che indicava Tabacci come il vincitore del confronto su Sky, ma assomigliano un po’ a coloro che ai Mondiali dell’82 tifavano per El Salvador.

Renzi si trovava nel suo habitat naturale, era una situazione perfetta, la copia lussuosa di un suo palco-tipo e si vedeva, lo lasciava intravedere in quel suo gongolare ridanciano su quel palchetto. Un minuto e mezzo sono anche troppi.

A Matteo, per esprimere in due o tre punti il riassunto delle sue proposte, che oramai recita con la naturale sicurezza dello studente che ha ripetuto tutta la notte le tre paginette di Storia, basterebbe anche meno e lo lascia ad intendere più volte.

La sua dialettica è quella fresca, del programma di intrattenimento pomeridiano, mi ha colpito la sua infallibile scelta nella costruzione del suo intervento, il più delle volte conciso, chiaro e diretto, almeno ad un primo ascolto.

Cosa succederà al Pd se vince Renzi?

Non penso che si sfascerà il partito, come ha dichiarato D’Alema, ma cambierà, questo è logico. Renzi dichiara di voler correre da solo ,ma dovrà cercare alleanze, che lo voglia o no, perchè con questa legge elettorale è inevitabile se si vuol pensare di governare.

In realtà Renzi ha già vinto, anche se perderà queste primarie.

MATTEO RENZI E BEPPE GRILLO: I NUOVI NOVISMI.

C’è una definizione, che ho letto due sole volte, che riassume con efficacia ciò che esprimono sia il comico genovese, sia il sindaco fiorentino: il NOVISMO.

Un ibrido fra più parole: nuovo, stil novismo, l’ovinismo (la tendenza a seguire il capobranco), qualunquismo.

Insomma un po’ come ciò che deve descrivere: un calderone fra il tutto e il niente.

Matteo Renzi e Beppe Grillo, possono avere non due meriti, ma due meriti dubitativi, ossia meriti del se, del condizionale:

  1. Allargano le basi, vivacizzando il dibattito all’interno del Pd e del paese in generale;
  2. Cavalcano un’ondata di malcontento popolare che in altri paesi europei, viene cavalcata da esponenti di partiti estremisti; (Grecia e Belgio)

Hanno molti punti in comune: tutti e due in qualche modo parlano di rottamazione, di Rete e hanno dietro il loro guru personale che li indirizza e gli suggerisce.

Le differenze sono tante le principali sono: Grillo non è candidato e, anche volesse, secondo le sue stesse regole non potrebbe. Di Renzi abbiamo già detto.

Perciò si accontenta di fare il padre padrone del partito insieme al suo guru-pares Casaleggio, facendo firmare dimissioni in bianco ai suoi adepti, perché va bene la democrazia, ma non si sa mai.

Sono tutti e due espressione di un fallimento: Matteo, di una classe dirigente, Beppe Grillo di una politica che ha abbassato il livello del suo registro e con la scusa del ”dobbiamo farci capire dall’elettore medio” ha appianato la propria dialettica su quella televisiva, rivelatasi da subito la più adatta, per chi la sapeva utilizzare, ad acchiappare una valanga di voti.

Ecco perché Grillo continuando ad utilizzare il medesimo gergo che utilizzava nei suoi spettacoli comici, può, aggiungendovi qualche dato numerico e qualche generica considerazione politica, inserirsi con nonchalanche nel dibattito politico.

Tutti e due presentano un format, con i suoi colori riconoscibili, il proprio gergo, il proprio background di riferimento.

Tutti e due hanno una loro motivazione per giustificare l’ingresso disinteressato in politica: Grillo lo dice spesso “Potevo chiudermi nella mia villa”, Renzi invece ripete con frequenza: “Io quando loro sedevano in Parlamento ero alle medie”, di nuovo la gioventù come merito, ma c’è di più perché con questa frase è come se volesse discostarsi dalla politica e dai suoi esponenti. “ Io quando loro facevano o non facevano questo, io non c’ero, ero troppo piccolo”.

Ecco che ritorna il mancato utilizzo delle bandiere del Pd, per avvicinarsi alla logica grillina dell’impegno civile da parte dei comuni cittadini, rifiutando il politico di professione. [1]

Renzi non può giocare la carta dell’antipolitica, perché è riconosciuto come un politico e la sua storia personale dice questo, allora cerca di ricalcare l’identikit che adesso i sondaggi rivelano essere quello vincente, per il profilo del politico futuro: giovane, faccia non conosciuta e onesto.

Aggiungo: che fine ha fatto la competenza?

Recentemente ho sentito esponenti dell’intellighenzia di sinistra che proponevano una soluzione alquanto discutibile: votare Renzi alle primarie del centro sinistra e Movimento 5 Stelle al Parlamento.

Per due motivi:

1- Distruggere il partito e, quindi in una logica massimalista, riformarlo;

2- Perché così facendo si può “scardinare la morta gora del dominio partitocratico e riaprire possibilità di cittadinanza attiva (l’ideogramma cinese per “crisi”, Wej-ji, è composta da “pericolo” e “opportunità”).” Parole di Paolo Flores d’Arcais.

Conclusioni.

Quando la decadenza è sotto gli occhi di tutti, allora accade che il quotidiano malcontento popolare si generalizzi, si faccia più ampio e ancora più spesso accade che la richiesta di un cambiamento, si riassuma nel passaggio del potere nelle mani di un solo uomo.

Oggi la competizione viene semplificata, sotto il gioco di una presunta necessità di farsi capire dal popolo. E le parole assumono un peso, nell’analisi di questo fenomeno: la campagna elettorale diventa un tour, le movenze sono studiate come in una coreografia e il politico deve presentare il suo format.

Gli imbonitori appartengono a tutte le epoche, quello che spero dalla società dell’informazione è che sappia usare tutti gli strumenti a sua disposizione, per informarsi e scegliere ciò che vuole, anche sbagliando, magari scoprendo solo in un secondo momento di esser stati raggirati.

Cercando così di evitare l’applauso emotivo, rapito dalle luci del teatrino e dai suoni dolci della retorica.

Per non finire come i topi della città di Hamelin, della fiaba dei fratelli Grimm, ingannati e annegati, dal primo pifferaio capitato in città.

Immagine Edoardo Romagnoli


[1] Vedi l’Amaca di Serra.

Un commento

  1. bell’articolo .. Sulla bolognina non sarei cosi duro, io penso piuttosto semplicemente che non siamo stati in grado di interpretare e contrastare mr B, ed in questi anni non sono riusciti ad interpretare la storia dando spazio a teorie fallimentari perchè ossessionati dalle teorie del politico piu importante degli ultimi 20 anni.. Sul leader io penso che ce l’abbiamo, ed è il segretario. Penso che se un leader si mette in discussione cosi facendo può solo rafforzare la propria leadership o no?Secondo me l’atto più grave della classe dirigente che lui contesta è quello che gli ha permesso di fare il presidente di provincia 🙂

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