“Senza la mia paura mi fido poco.” (Fabrizio De Andrè, La bomba in testa)
Ai tempi di Winston Churchill i paracadutisti per passione non esistevano, chi si lanciava dagli aerei della Royal Air Force erano soldati in addestramento o in missione.
Ecco forse il motivo per cui, il premier di Woodstock, non si espresse mai su questa nuova disciplina estrema, anche se non è difficile immaginare da che parte sarebbe stato lui che era solito ripetere, a chi gli chiedesse la formula per il successo nella vita, di: “Moderare lo sforzo! Mai restare in piedi quando si può stare seduti. E mai, mai stare seduti quando si può stare sdraiati.”
Sono un tipo prudente. Da bambino conoscevo bene il sottile ricatto, che si disegna ogni volta che un “bulletto di turno”, sull’orlo di qualche burrone, in sella alla sua mountain bike nuova di pacca, urla: “ Io ora mi butto chi non lo fa è un cacasotto.”
Preferisco ancora oggi, cacarmi sotto, che sottoporre la mia vita ad un inutile pericolo, che ci volete fare sono scelte, predisposizioni dell’indole.
Ecco perché sono rimasto più che perplesso quando, in occasione della mia laurea, mi è arrivato tra le mani, mascherata da regalo, una “Smart box”.
Non una qualsiasi, non una per le degustazioni, per i massaggi, le terme o altre belle cose piacevoli: la Smart Box Adrenalina.
Adrenalina?
La cosa mi ha sconvolto, non solo per le immagini che mi scatenava in testa quella definizione così poco travisabile, ma soprattutto perché a regalarmela è stata mia sorella, una che mi dovrebbe conoscere o almeno così dovrebbe essere.
Inutile dirvi che se, le Smart Box in genere, si regalano per le attività più disparate, quelle “Adrenalina” si donano solo per un motivo e mia sorella non ci mise molto a svelarlo.
“Sai te l’ho presa perché voglio che tu provi un’emozione forte, che ti lasci il segno… grazie a questa avrai la possibilità di fare un lancio col paracadute.”
Emozioni forti? Segni? Lasciamo da parte i segni, sono proprio quelli che mi preoccupano. Lancio. Paracadute. Era come un bagno nel mare del non sense.
Me lo aspettavo, anche perché in copertina, oltre allo stupidissimo giro in Ferrari, la gita alla Bear Grill, c’era proprio la foto del “fortunato”, prima di me, immortalato mentre si lancia da un aereo.
Ricordo che alla vista di quel volto disperato, il mio inconscio aveva scartato il lancio col paracadute dalle papabili scelte.
Poi quando ho alzato gli occhi sono cominciate le reazioni entusiaste di tutti.
Sì perché quando sei giovane, esteriormente parlando intendo, tutti si aspettano che tu ti comporti di conseguenza, che tu abbia voglia di buttarti da 6000 metri, da un aereo in volo neanche solo, con un istruttore di 80 e passa chili attaccato alle spalle come un avvoltoio, tutti e due con la speranza che quel maledetto paracadute si apra e tutto vada per il meglio.
L’ho visto come una pugnalata alle spalle: “ Quoque tu soror mea!”
La viltà di un uomo si vede in queste circostanze, ecco perché pensai immediatamente ad uno stratagemma per non sembrare un coniglio agli occhi della famiglia e, allo stesso tempo, far contenta mia sorella e un amico.
Regalare la Smart Box a qualcuno dei miei intrepidi amici.
Il piano venne abbandonato in partenza, da suicidio poteva trasformarsi in omicidio premeditato.
Era una questione di coscienza, gli stessi motivi che mi tenevano lontano da un eventuale lancio, mi impedivano di regalare quel biglietto di sola andata per l’Inferno a qualcuno dei miei amici.
Avevo già l’identikit giusto e forse un giorno gli confesserò il mio piano diabolico.
Cercai di dormirci sopra, di scacciare la paura, feci un vano tentativo di training autogeno, una misera opera di autoconvincimento in cerca di una goccia di coraggio. Fu tutto vano.
Pensavo alla storia del calabrone, insetto fisicamente impossibilitato al volo, che vola ignorando di esserlo.
Pensavo agli aerei, pachidermi di ferro, appesantiti da valigie e passeggeri, che vibrano leggeri in aria da più di 100 anni, ma niente, non mi convincevo.
Mi guardo e non mi vedo adatto al volo. Non perché sia particolarmente grasso né particolarmente magro, è proprio un fatto di aerodinamicità, di convinzione.
Lo so che il paracadutismo è una passione e in quanto tale non si discute, è un po’ come la storia del calcio che se, per gli appassionati, è una religione, per gli altri è la rappresentazione di 22 uomini dietro ad una palla.
Il problema è che per me il paracadutismo rappresenta un rischio insensato, un fare a dadi con la morte.
Pensateci, pagare per farsi portare in cielo dove le tue “chanche” di non schiantarti al suolo durante il tuo primo lancio, devono essere messe assieme a tutte le volte che è andata bene all’istruttore di turno, prima di calcolare le possibilità reali che avrai di vedersi aprire il paracadute in quello strattone fatale. E’ troppo, mi sembrerebbe di chiedere troppo.
E non parlatemi di adrenalina, quella di Armstrong, se accadde realmente, è adrenalina, non il buttarsi da un aereo per sfruttare un coupon omaggio.
Mi torna alla mente un documentario che vidi tempo fa, in cui raccontavano che durante l’allunaggio americano del 1969, gli astronauti avevano una sola possibilità di “mettere in moto” il modulo Eagle, una volta toccato il suolo lunare, per riprendere la via di casa.
Una sola possibilità, una sola chanche, può essere anche un’immagine romantica, se costretti, ma è quell’andarla a cercare che mi stona.
E poi quelli almeno se non fossero ripartiti, sarebbero morti da eroi, terrestri alla conquista dello spazio per conto dell’umanità.
Io sarei solo un pollo volante, decisamente sfortunato, morto per non fare un dispiacere a qualcuno per conto di chi mi voleva regalare un’emozione forte.
Edoardo Romagnoli