Amsterdam, 2012. Parte 1: L’arrivo.

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Amsterdam è stata l’unica nozione geografica certa, in possesso della mia generazione, per tutta l’adolescenza.

Eravamo ignoranti come capre, ma sapevamo che Amsterdam era la capitale dell’Olanda, i più colti si spingevano fino a Londra, ma poi facevano sempre confusione fra Inghilterra e Regno Unito e alla fine rimaneva sempre una capitale senza Stato.

La nostra conoscenza cominciò, ben presto, ad arricchirsi dei racconti dei primi pionieri tornati, ammirati più per la capacità di aver convinto i genitori sui perché di quel viaggio, che per altro.

Arrivata l’età del motorino, per alcuni, e delle prime patenti, per gli anziani, i racconti si moltiplicarono, si intrecciarono, e si vennero a creare vere e proprie leggende metropolitane di coffe-shop fantasmi, di “viaggi” in camere d’albergo deformi, di fumi ed erbe psichedeliche oltre ad un imprecisato numero di cuori lasciati dietro qualche vetrina del Red Light District.

Come tutte le cose belle, o che tali appaiono, la idealizzammo tutti, ognuno partiva con la sua personale Amsterdam in testa, ma a differenza di quel che solitamente accade, a chi carica di aspettative un evento, in pochi tornavano delusi. La regola leopardiana del “Sabato del villaggio” crollava inesorabilmente di fronte alla Mecca del Vizio.

Mi cullavo del fatto che al mondo potesse esistere un posto del genere, ma non mi feci prendere mai dalla frenesia, nemmeno di fronte alle voci insistenti che prevedevano l’imminente chiusura dei coffe-shop.

Non ho mai capito se fosse una manovra turistica o l’ennesima leggenda metropolitana, il fatto è che per un bel po’, di Amsterdam, non ne sentii parlare né ne sentii il richiamo.

Fino agli inizi del Dicembre 2012 quando ricevetti una telefonata da due amici:

–       Il 19 è il nostro compleanno.

–       Avete fatto bene a ricordarmelo. Cicciata?

–       No. Amsterdam dal 19 al 24.

–       …

–       Dimmi un Sì o No.

–       Quanto costa?

–       380… compreso: biglietto andata-ritorno ed un fantastico alloggio in una camera tripla per una settimana a due passi da Piazza Dam.

–       O l’aereo è di cartone o ci fanno dormire in un cartone.

Sarà stata la paura del rimpianto, qualche reminiscenza adolescenziale, ma Amsterdam mi si ripresentò davanti, la loro capacità di sintesi fece il resto e così accettai.

Mercoledì 19 Dicembre,2012

Aeroporto “Schiphol” di Amsterdam

Nell’era del low cost mi aspettavo che la fregatura fosse nel viaggio in aereo, invece viaggiavamo con un A320 della Lufthansa e lo scalo a Monaco fu breve, poco meno di un’ora, e quando anche i bagagli arrivarono puntuali sul nastro trasportatore dell’aeroporto di Amsterdam, fu lì, nell’atrio dello “Schiphol”, circondato da bulbi di tulipano, che cominciai a temere per l’alloggio.

Ci volle mezz’ora di treno e un quarto d’ora di cammino su un pavè degno della Parigi-Roubaix, per dar tempo ai miei timori di materializzarsi.

Torno a ripetere: la fotografia è l’arte mendace per eccellenza e questo gli albergatori lo sanno benissimo.

Oudezijds Achterburgwald Straße, 118-120.

Cominciavo a rimpiangere il sistema alfanumerico adottato dagli inglesi.

Ci trovammo, nel bel mezzo del “Red Light District”, davanti ad una scaletta che si arrampicava fino ad un misero pianerottolo color verde muschio, in tinta con tutto l’edificio, sormontati da una scritta in stile pub medioevale, nel bel mezzo di un viottolo che si affaccia su uno dei tanti canali che attraversano il “Die Wallen”.

“HEART OF AMSTERDAM”

Se quello rappresentava il cuore di Amsterdam voleva dire solo una cosa, a questa città serviva un bypass aorto coronarico, un cuore così avrebbe rincuorato anche Julian Ross, il Cruijff dei manga giapponesi.

Immaginate una casona di cemento incastonata a forza fra i viottoli affollati del distretto, tutta coperta di vegetazione da scoglio, esposta ai naturali quanto incontrollati bisogni del fiume e dei suoi abitanti, dal topo al cigno, passando per il germano e il turista italiano.

Parliamo di ciò che avrebbe voluto essere, poi passiamo a ciò che era.

Immaginate di avere uno spazio ristretto, pochi soldi per arredarlo ed una pessima idea su come impiegarli ed ecco che pezzo per pezzo vi apparirà il “Cuore di Amsterdam”, un elegante ostello da 30 euro al giorno, tv, bagno e doccia, ogni camera arredata a tema di un film e la possibilità di fare una frugale colazione nella hall, in piedi, davanti al front desk.

L’elegante ostello era, in realtà, una topaia dipinta di nero, un atrio con due tavolini, una scala in legno da rifugio montano che si arrampicava per quelli che sembravano tre piani, invisibili da fuori, un bancone rinchiuso in un angolo sommerso dai depliant e un corridoio tanto corto, quanto pieno di porte.

Non feci in tempo a finire la frase di rito, adatta ad ogni arrivo in un albergo, quando venni, bruscamente, interrotto dalla signorina del desk che, dopo avermi messo sotto il naso tre fogli, cominciò a battere nervosamente l’indice sopra quell’universale linea nera che, in tutto il mondo, vuol dire una cosa sola: firma.

Quella donna era la regina del tempismo, non feci in tempo a posare gli occhi sul papello che subito mi precedeva, con un sunto rapido ed efficace del contenuto.

Regole, semplici regole dell’ostello con minuziosa descrizione delle pene conseguenti ad un eventuale infrangimento di queste.

Due le principali: chi rompe paga, nulla di nuovo, chi fuma in camera paga, 100 euro di pena amministrativa.

Ci indicò la via e ci liquidò. Di solito un certo tipo di freddezza nelle donne, mi stuzzica la fantasia, ma in lei mi faceva lo stesso effetto di un paio di mutande d’azoto liquido.

Intendiamoci non sono un architetto né tantomeno un esperto in materia, ma ve lo potrebbe dire anche un bambino che le case di Amsterdam sono storte.

Sul motivo le teorie più quotate sono due:

1-    Visto la frequenza con la quale i canali, esondando, allagavano i primi piani delle abitazioni circostanti, il mercante olandese trovò ingegnoso stipare le preziosi merci tutte all’ultimo piano. Il problema è che tale disposizione rendeva difficoltoso il trasporto e il carico sui mezzi, fu allora che si decise di inclinare le abitazioni per calar giù, sulle barche o sui carri, tutte le merci destinate al commercio;

2-    E’ l’ennesima leggenda metropolitana, è che tutti le guardano dopo aver fumato.

Quel posto non era regolare sotto un profilo strutturale, non riuscivo a immaginare dove potevano essere le stanze, come potessero aprirsi degli ambienti dietro quella selva di porte, in piedi, l’una accanto all’altra.

Finimmo il corridoio con qualche passo, aprimmo la porta e ci trovammo dentro un quadrato di cemento, di quelli che si vedono nei carceri affollati durante l’ora d’aria, con una macchinetta delle merendine, due turisti che fumavano e calcinacci, ovunque.

Attraversammo in fretta e aprimmo la porta, per la cronaca, si apriva con la scheda magnetica, una topaia sì, ma attenta ai dettagli, pensai.

La camera a tema non era altro che una stanza con tre letti IKEA neri, due a castello, uno singolo, un poster di “Taxi Driver” appiccicato alla parete nera, l’unica libera, fra i letti, un bagno e una doccia per mini-pony, una tv nera che dava l’aria di non aver mai funzionato e tre asciugamani bianchi.

Edoardo Romagnoli

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