“Ci sono stati molti ragazzi in gamba, molti pretendenti, ma c’è stato un solo re.”
(Bruce Springsteen)
“Prima di Elvis non c’era nulla! ”
In un tempo in cui le pubblicità defraudano l’umanità del proprio patrimonio sentimentale comprando a suon di milioni le più belle canzoni del secolo, è necessario rendere giustizia ad alcuni pezzi svuotati di tutto il bello, tagliati, montati e remixati per essere piegati alle esigenze del marketing.
“Always on my mind” è comparsa per la prima volta sul lato B di un 45 giri edito nel 1972 cantata da Elvis Presley. In realtà la canzone la scrissero in tre: Mark James, Wayne Carson e Johnny Christopher ispirati da una telefonata fra lo stesso Carson e la moglie, solo successivamente arrivò nelle mani di Elvis, riuscendo ad oltrepassare il muro della Memphis Mafia grazie all’intermediazione di Red West, una delle guardie del corpo del Re del rock.
Non fu nemmeno il primo ad interpretarla, Brenda Lee lo fece prima di lui con scarso successo, il fatto è che nella sua versione il pezzo diventa un successo in brevissimo tempo.
Le ragioni sono molte, tra le quali il talento dell’interprete gioca un ruolo fondamentale, ma c’è ne una, in particolare, a cui mi piace credere: la storia vorrebbe che il testo e l’arrangiamento arrivarono ad Elvis nell’Estate del 1973 a pochi mesi dalla separazione con Priscilla, in un momento di forte depressione.
Elvis fu talmente colpito dal “tempismo” della canzone che la fece immediatamente sua, ma c’è di più questa canzone è famosa anche per un altro episodio.
Dopo il divorzio, nell’Ottobre del 1973, Priscilla andò a vedere un concerto di Elvis a Las Vegas e qui si racconta che lui, restio a dedicare canzoni, fece un raro strappo alla regola, dedicandole proprio “Always on my mind”.
La canzone possiede il fascino tragico proprio dell’irrimediabile, ma il messaggio già così carico di significati, diffuso dalla voce di Elvis riesce ad arricchirsi ancora di un senso nuovo, trova una nuova declinazione, ben più scura di quella con la quale era stata concepita.
Il testo nasce, come già detto, da una telefonata fra marito e moglie, una relazione stabile e ancora viva, in origine quell’ always on my mind aveva un significato positivo, una cosa molto simile al siamo lontani, ma tu sei sempre con me, nella mia mente.
Un uomo che essendosi reso conto, un attimo prima di compiere l’irrimediabile, di aver sbagliato, chiede una seconda possibilità e sembra quasi sicuro di ottenerla.
Di tutta questa positività nella versione di Presley non v’è traccia, Priscilla entra in gioco subito, Las Vegas insegna, e tutto assume immediatamente una tonalità più scura, la speranza si dissolve e frasi come I’m so happy that you’re mine o I just never took the time suonano più come parte di una vana opera di autoconvincimento o un’amara presa di coscienza che una salvifica riscoperta.
Penso a questa canzone e vedo tre radioline accese: una è quella di Carson, una di sua moglie e l’altra è quella di Priscilla Presley.
Chissà se Carson non si sia pentito della piega tragica che ha preso la sua canzone o se magari risentendola in macchina, non gli sia balenata in testa il rimorso di non averla mai potuta cantare lui a sua moglie o è semplicemente felice per tutti i soldi che ha fatto.
Chissà se alla moglie di Carson non sia scocciato che alla fine dei giochi la dedica della canzone sia universalmente attribuita a Priscilla o che suo marito non le abbia mai dedicato un’interpretazione come quella o è semplicemente felice per tutti i soldi che il marito ha fatto.
Chissà se a Priscilla è capitata di risentirla, chissà dove l’ha portata la musica in quel momento, magari a quella sera a Las Vegas, a quelle labbra strette che le sussurravano dal palco “ Questa è per te baby” o magari alla moglie di Carson o se più semplicemente l’ha resa felice.
Edoardo Romagnoli