“Non mi illudo di essere immortale” (Giulio Andreotti)
Esultare per la morte di qualcuno, specialmente se potente, è una reazione da sudditi, ma un momentaneo sospiro di sollievo, in certi casi, è dovuto.
La vita è un percorso, a volte una gran fondo dove è necessario moderare le energie per sperare di poter arrivare al traguardo, a volte sono 100 metri da bruciare in un sol fiato, per alcuni si può trasformare in una 110 a ostacoli e i più sfortunati si possono trovare a dover affrontare anche una 3000 siepi.
La vita è un po’ di tempo concesso.
C’è chi se lo vive alla James Dean, alla Sid Vicious, alla George Best senza tattiche, giorno per giorno, al massimo delle possibilità, senza un domani, i predestinati; quelli che resteranno giovani per sempre, illudendo i superstiti che sia possibile.
C’è chi lo spende con cautela, quasi come fosse cosciente d’essere destinato alla lunga marcia, a contare ogni giorno qualche nuovo acciacco.
Come spesso accade c’è un adagio popolare che cerca di raccontare questa condizione e non pago si propone anche di indicare quale delle due sia la migliore, come se davvero fosse possibile.
“Meglio un giorno da leoni che 100 da pecora.”
Il 6 maggio 2013 si è spento alla veneranda età di 94 anni, il senatore a vita Giulio Andreotti, l’ombra più oscura e onnipresente proiettata sul muro della storia repubblicana.
Per lui parla il suo cursus honorum durato 68 anni: nel 1945 promosso da De Gasperi come membro della Consulta nazionale, nel 1946 partecipa, a soli 27 anni, all’Assemblea Costituente, deputato, senatore, senatore a vita dal 1991, 7 volte Pres. del Consiglio, 22 volte Ministro, 8 legislature dentro il Parlamento, numerosi scandali, due processi, tre partiti (Dc, PPI, DE) e una ventina di soprannomi (da Divo Giulio, nomignolo coniato da Mino Pecorelli, fino a Molok, passando per Belzebù, per distinguerlo da Licio Belfagor Gelli).
E’ stato conoscente di moltissimi, amico di pochi, uomo dotato di un finissimo senso dell’umorismo e di un’ oscura intelligenza. Sarà anche per questo che mentre tutti pronosticavano la sua fine, molto spesso a “cadere” erano proprio quei tutti, mentre lui continuava a camminare con passo certo attraverso la Storia.
A lui hanno attribuito di aver ordito le trame più oscure che hanno costellato gli anni a cavallo fra il 1970 e il 1980 della Prima Repubblica, quantomeno gli episodi più significativi accaduti duranti gli anni che hanno visto l’attuazione della strategia della tensione.
Il suo nome emerge dalle vicende più oscure: da quelle Sifar, dal piano Solo del generale De Lorenzo, del caso Sindona, in quello di Calvi, in Gladio e in quello della P2 di Licio Gelli.
A lui hanno attribuito l’omicidio del giornalista Carmine Pecorelli, quello del generale Dalla Chiesa, di Gaspare Pisciotta e quello del Pres. della Regione Sicilia Piersanti Mattarella.
E’ sospettato di aver aiutato il banchiere della mafia e dello Ior Michele Sindona e il direttore del Banco Ambrosiano, di essere direttamente o indirettamente legato all’omicidio Ambrosoli e di non aver fatto nulla per impedire quello di Aldo Moro, suo vero nemico all’interno della Dc.
Sospettato, accusato, ma mai condannato, c’è solo una sentenza della Corte di Cassazione di Palermo del 15 Ottobre del 2004 che, pur assolvendolo perchè i fatti erano caduti in prescrizione, lo accusava di aver intrattenuto rapporti “strutturali” e non occasionali con Cosanostra fino al 1980.
Non smentiva mai le notizie sul suo conto, nè si tutelava con azioni legali, si è sempre professato per la libertà di stampa, soleva dire: ” Una smentita è due volte la notizia”.
Era un vero uomo di potere ed ha saputo mantenere lo status quo con mille mezzi, degni di un principe machiavelliano, a tutti quelli che gli si affannavano intorno per l’articolo scottante dell’ultima ora soleva rispondere ” L’umanità è sopravvissuta alla bomba atomica, sopravviverà anche a questo.” con la serenità che solo un potere solido e ampio, che mai lo ha logorato, può dare.
Preferiva i battesimi ai funerali, evitò di andare a quello del Generale Dalla Chiesa, ma accorse in tutta fretta quando uccisero il capo della sua corrente in Sicilia Salvo Lima.
La morte di Andreotti farà tremare qualcuno, qualche pesce piccolo che teme per una controllata fuoriuscita di documenti riservati dal caveu blindato, dove è custodito l’archivio del senatore a vita.
Un suo imitatore in uno show gli fece pronunciare queste parole: “Non dovete chiederemi qual è il segreto del mio successo, piuttosto dovreste chiedermi sui successi dei miei segreti”.
Perché quell’archivio è stato funzionale per la forza contrattuale di Andreotti, una spada di Damocle che ha tenuto in scacco molti personaggi di questo paese, mentre per i giornalisti, i complottisti di ogni genere si rappresentava come l’El Dorado per capire realmente cosa è stato fatto nel nostro paese e da chi, in nome di quel bene superiore che era: l’ordine e la stabilità della nazione.
Giulio Andreotti è un uomo che ha vissuto 100 giorni da leone in una lunga maratona, fingendo di essere una pecora centometrista.
Chissà cosa è stato veramente, un individuo che ha sempre confuso il bene con il male, una spia, la reincarnazione di E.t in versione umana, un massone di una supersetta mondiale ancora segreta, un genio del male, un uomo schiacciato dagli eventi della Storia, un politico che ha fatto scelto sbagliate?
Ciò che sappiamo è che nella vita possiamo diventare tutto, ma non possiamo diventare immortali, immortali non sono nemmeno le nostre azioni, pur godendo di una vita più lunga, siano esse orientate al bene o al male.
E adesso fra gli omaggi e le polemiche per gli omaggi, c’è da scommetterci che lì nell’ombra tifa in segreto per una “damnatio memoriae”, fedele ad uno dei suoi tanti motti: “Non bisogna mai lasciare tracce“.
Edoardo Romagnoli