
Ci fu un tempo in cui ogni squadra aveva il suo pallone, non aveva nessuno sponsor sulla maglia e i calciatori guadagnavano poco o niente.
Se oggi la quasi totalità dei campionati si giocano con un pallone monomarca, le squadre indossano maglie con lo stesso simbolo e i calciatori le stesse scarpe è anche merito/colpa di un uomo in particolare.
Colui che per primo ebbe la tragica intuizione che in questo secolo sarebbero contati più i marchi dei prodotti. Philip Hampson Knight co fondatore della Nike inc. insieme a Bill Bowerman.
Philip Hampson Knight nato nel 1938 a Portland in Oregon è il co-fondatore della Nike Inc. dove ha ricoperto la carica di amministratore delegato fino al 2004 quando ha lasciato il posto a Mark Parker.
Su di lui si raccontano molte storie, come quella secondo cui si tolse i suoi inseparabili occhiali da sole Oakley dalle lenti avvolgenti solo quando l’allora amministratore delegato dell’omonima ditta Jim Jannard si rifiutò di vendergli l’azienda, raccontata da Naomi Klein nel libro “No Logo”. Famosa la sua definizione del paradiso come: “Una grande scatola di scarpe”.
Ha avuto molti soprannomi nella sua vita, ma uno dei più calzanti è sicuramente “criminale d’azienda”, coniato da Michael Moore nel libro “Giù le mani” del 1997.
Intendiamoci da subito, come Phil ne esistono a migliaia nel mondo delle grandi multinazionali, ma lui può essere considerato uno dei più eminenti pionieri nella creazione di quel tipo di stabilimenti che nelle zone industriali di esportazione in Guatemala vengono chiamati “rondini”.
Fabbriche volanti che aprono o chiudono a seconda della minore o maggiore democratizzazione del paese ospitante, con un’unica preoccupazione la convenienza.
Sua la frase: “ Marchi, non prodotti” che spiega al meglio uno dei segreti che ha fatto della Nike una multinazionale con un fatturato da 19,2 miliardi di dollari e un esempio per tutte le aziende disposte a dimenticare l’etica in nome di una selvaggia massimizzazione dei profitti. La produzione da protagonista indiscussa del successo o meno di una ditta lascia il posto al marketing, in cui tutte le energie vengono canalizzate, non più la creazione del prodotto, ma la creazione dell’identita’ del prodotto. Peter Schweitzer, presidente del gigante pubblicitario J. Walter Thompson ha sintetizzato tutto questo in una sola frase:”La differenza fra prodotti e marchi è fondamentale. Il prodotto nasce in fabbrica, ma ciò che il cliente compra è il marchio.”
La ditta che ha fatto del suo Swoosh un’immagine sacra è stata una delle prime che, alla metà degli anni ’80, ha compreso come la fabbrica piena di operai, macchinari e sindacati fosse diventata solo un peso, una zavorra che non permetteva l’ ingresso nel futuro della produzione capitalistica. Fu così che come un moderno Marco Polo, cominciò a girare il mondo, senza muoversi dalla sua scrivania all’ultimo piano della sede Nike a Beaverton in Oregon, in cerca del suo paradiso in terra, credenziali? Poca democrazia e manodopera a bassissimo costo.
1984 – La Nike sceglie la via del decentramento produttivo, così chiude i suoi ultimi stabilimenti negli U.S.A per muoversi alla volta dell’Oriente: Taiwan,Corea del Sud, China, Pakistan, Thailandia, Vietnam e Indonesia.
Esternalizza la produzione attraverso la pratica del terzismo, così facendo elimina completamente i rischi, che rappresentano i costi fissi, di fronte ai picchi del mercato.
Dimenticate per sempre quell’idea per la quale fare impresa è come scommettere con se stessi e con l’aleatorietà del mercato.
Qui è necessaria una semplificazione brutale, quanto utile.
La Nike, come conseguenza calcolata della sua scelta di decentrare, si trova senza fabbriche e così si affida completamente a dei terzisti, principalmente di paesi sottosviluppati, su cui scarica totalmente i costi fissi della produzione.
A questo punto gli unici due compiti che le rimangono sono: investire i risparmi derivanti dalla chiusura delle fabbriche e dal salario (mediamente 10 $ l’ora) che non deve più corrispondere ad ogni singolo operaio aumentando la pubblicità e fissare il prezzo e la quantità degli ordini che desidera ai terzisti, sarà compito loro rientrare nei costi al prezzo pattuito. Detta così tutto nella norma, anzi potrebbe sembrare un modo per incentivare l’industria nei paesi sottosviluppati, ma è qua che entrano in gioco le “ rondini “.
Questo è quello che succede in breve, si cerca un paese dove vi siano forti agevolazioni in termini di imposte sul reddito o sulla proprietà, senza dazi di import/export, zone franche o anche chiamate con il termine EPZ (Export Processing Zone). Una volta scelta la meta preferita, mettiamo siano le Filippine, nello specifico la EPZ di Cavite, situata a 145 Km a sud di Manila, nella città di Rosario,si entra in contatto con dei terzisti e si manda l’ ordine, poniamo il caso, da 100 pezzi al costo di 1$ al pezzo. Il terzista si trova così, se vuole quei 100$, a dover trovare il modo per massimizzare il suo profitto.
Come? Naomi Klein ha descritto la zona industriale di Cavite così: “..un’area industriale di 682 acri in cui sono localizzate 207 fabbriche…laboratori senza finestre, con pareti d’alluminio e plastica a buon mercato, sono stipati l’uno accanto all’altro a poca distanza. Ogni lavoratore viene spremuto il più possibile e da ogni giornata si cerca di ottenere il maggior numero di ore di lavoro…”. Operai pagati 2,50 $ al giorno, dalle 12 alle 16 ore di lavoro, straordinari obbligatori e , in alcuni casi, il divieto assoluto di parlare o di sorridere, in quanto atteggiamenti improduttivi, di scioperi e sindacati neanche l’ombra. E’ così che un paio di Nike air Jordan da 10$ arrivate dalle Filippine vengono vendute in Occidente a 350 $, con l’aiuto di qualche faccia famosa, procurando all’azienda di Phil profitti fino al 400%.
Questa è la nuova frontiera del capitalismo occidentale, questa la genialità dei grandi top manager di tutto il mondo, questa la loro bravura e pensare che , alcuni di loro, hanno speso anni a studiare economia o marketing quando sarebbe bastato andare a lezione da Pinochet per imparare il segreto di tanto successo. Può sembrarvi una insensata ingiustizia, ma per Phil Knight c’è un perché, come dicono i fondatori del movimento anti-Nike parafrasando il celebre motto della ditta dell’Oregon:“Just duit” (Sono solo soldi).

Per chi, come me, cammina, corre e calcia indossando uno Swoosh, per noi testimonial paganti qual è il senso? Moda? Accettazione sociale? Una presunta qualità del prodotto? A queste domande non trovo risposta e comunque credo che per nessuno di questi motivi sia giustificabile alimentare un circuito di sfruttamento di questo tipo. Un buon proposito?
Liberarci dall’ossessione dei marchi, almeno fino a quando non saranno in grado di garantire un modo di produzione eticamente sostenibile, prima di allora potremmo comunque continuare ad allenarci, magari a basket.
In fondo non sarà così difficile prendere un paio di Nike, mirare al cestino e liberarsene, per sempre. “Just do it”.
Edoardo Romagnoli
[…] grandi multinazionali che all’inizio degli anni Novanta, seguirono l’intuizione di Philip Hampson Knight: “Marchi, non prodotti”, una mission che portò molte grandi companies a smantellare […]
Nel tuo post ci sono delle approssimazioni che cambiano molto il senso dei concetti.
Nike nasce producendo in Asia fin dal primo paio di scarpe, produceva già in Giappone quando avevano solo un ufficio in un picciolo magazzino fatiscente in Oregon. Un’azienda sta sul mercato e compra dove c’è qualità e prezzo, non è un crimine.
La Nike non aveva nessun controllo sui dipendenti asiatici e quando ha avuto la certezza che avvenivano abusi si è mossa subito.
Per il fatto di spostare la produzione dove più conviene ti sfido a trovare una casalinga che va al mercato e compra dove è più caro, si chiama Mercato.
Poi se vogliamo ragionare sul fatto che il capitalismo ha fallito posso essere d’accordo con te e la Klein ma ad oggi 70.000 persone si possono permettere pranzo cena una casa e un futuro grazie a Nike. Se il capitalismo non ci piace, la società si cambia con la politica e non boicottando chi dà lavoro.
Sono d’accordo con te..il concetto è proprio sul sistema capitalistico in cui non si muove solo Nike ma tutti noi e che provoca storture e diseguaglianze aberranti