Io mi innamoro sugli autobus

Ogni giorno in una delle città più belle del mondo migliaia di persone si accalcano dentro enormi bruchi metallici, esposti al caldo, al freddo e al taccheggio.

Costretti a darsi la caccia con lunghi appostamenti per trovare posto su uno dei pochi seggiolini, spesso griffati dall’ultimo artista adolescente dell’Uniposca, suscettibili ad ogni vibrazione del sanpietrino.

AutobusQuei posti così rari che una volta conquistati vengono difesi strenuamente, cosa che induce spesso l’avventore a fottersene alla grande di vecchi, bambini, donne incinta, mutilati di guerra e tutto quanto il papello delle regole non scritte per il quieto vivere.

Spesso si trovano a viaggiare in piedi o attaccati a improbabili anelli di gomma che, per agevolare il compito non si limitano ad essere fissi, ma scivolano amabilmente lungo il binario che li sostiene, per tutta la lunghezza dell’autobus.

Una piccola licenza ingegneristica di qualche fenomenale interior bus designer che, immedesimandosi nel viaggiatore tipo, ha pensato bene di fornirlo di una bella pista dove potesse librare fra un anello e l’altro come un Tarzan moderno. Lo immaginava così, in movimento, fra l’autista e il fondo del bus, un uomo eclettico, mobile, futuristico.

Immagino il rumore di tutti quei sogni infranti quando qualcuno gli avrà pur comunicato che anche gli altri viaggiatori avrebbero dovuto trovare posto, trasformando così un’esperienza quasi onirica, in un banale claustrofobico viaggio in autobus.

Eppure ogni giorno, migliaia di persone si affollano in urbani viaggi della speranza cercando di raggiungere un luogo di lavoro, di studio o di cazzeggio. Costretti a viaggiare in paranoia, pronti a scendere ad ogni divisa blu scura, ad ogni blocchetto in mano fosse anche quello di un sondaggista.

Anche per i possessori di biglietto valido, il viaggio non è sempre tranquillo, se ne contano a migliaia di tuffi in avanti verso la macchinetta convalidatrice per non farsi trovare in fallo, dal controllore appena salito.

Chi ha un biglietto e, non contento, convalida pure, è perché: o ha qualcosa da nascondere o perché i problemi fisici gli impediscono fughe rocambolesche e coraggiosi tuffi in avanti alla Cagnotto.

Il biglietto per queste carrette di strada sta raggiungendo quello di un pacchetto da 10 di Winston blu, con lo svantaggio che non si fuma, scade dopo un’ora e difficilmente ci attaccate bottone se lo offrite.

E allora cos’è che spinge queste persone a scegliere quest’infernale mezzo di trasporto?

Tutte senza altre alternative?

Tutte appiedate, senza motorini, macchine, biciclette o amici generosi?

No. E’ perché sugli autobus ci si innamora.

Sono amori fugaci, da una fermata e via. Non c’è un motivo, in autobus la gente è stressata, assonnata, sia all’andata che al ritorno, molti si isolano, leggono, ascoltano la musica, insomma non ci sono, non è certo un posto empatico l’autobus.

Eppure in autobus, ci si innamora, almeno io mi ci innamoro, spesso, almeno quando ci vado.

Si svolge in tre atti, come tutte le storie, anche quelle della vita.

Si aprono le porte, entra lei, la vedi, te ne innamori, ti immagini che voce abbia, che cosa le possa piacere, che tipo di personaggio sia.

Poi l’autobus si ferma, con quel dolce fischio di freni consumati che ti spaccano i timpani e tutti i voli pindarici. Lei esce e tutto finisce, forse è scaduto anche il biglietto.

Io mi innamoro in autobus, ma vado sempre in motorino.

Edoardo Romagnoli

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