Ogni giorno un esercito muto esce di casa per prendere i mezzi pubblici e raggiungere i luoghi di lavoro o di studio.
Se vi accosterete vedrete una giostra di facce spente, una folla di individuali solitudini, chiuse in un pensiero che non c’è, stordite da un paio di cuffie o dall’ultima app. Tutte già proiettate col pensiero alla destinazione.
Tutte impegnate in quel percorso a tappe fatto di una montagna di appuntamenti, in cui il tempo si divide fra quello sprecato, quello da ottimizzare e quello già morto.
Il silenzio che domina i mezzi pubblici non è quello dell’imbarazzo del primo appuntamento è quello del lutto, ogni giorno si celebra il funerale al tempo morto, trascorso nelle pensiline degli autobus, alle fermate della metro o su un binario colpevolmente vuoto.
E il dolore come la routine ci rende insensibili.
Insensibili a ciò che ci circonda e che ogni giorno cambia, insensibili alle facce, che ci incuriosirebbero pure, ma non lì, non in quel tempo morto, perché quel tempo deve solo trascorrere, nella maniera più indolore.
Se la nostra giornata fosse un film o una fiaba ci sarebbe una bella colonna sonora, ma soprattutto ci sarebbe qualcuno che verrebbe a svegliarci, come chi ti ricorda che li hai proprio sul naso gli occhiali che continui a cercare per casa.
Edoardo Romagnoli