Avrei voluto parlarvi della tristezza intrinseca nel capodanno, avrei voluto parlarvi del cenone, delle difficoltà nella digestione e dei buttafuori al locale, avrei voluto parlarvi dell’assurdità delle discoteche, ma poi ho letto un articolo troppo corto sul web.
LUNGA PREMESSA:
“(…)Sarebbe lo stesso esistita Hanna Arendt se ci fosse stata l’interattività del web 2.0, e cioè Twitter, Facebook, YouTube, i blog, il crowdsourcing, i forum, le chat, Wikipedia, Myspace, Gmail, WordPress, Tripadvisor, il data journalism? (…)”
(Rory Cappelli, “Il giornalismo e l’informazione liquida. Da Hannah Arendt al web 2.0”)
“Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. L’ho progettato perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse le persone a collaborare, e non come un giocattolo tecnologico. (…)”
(Tim Berners Lee, “L’architettura del nuovo Web”)
Internet è una piattaforma rivoluzionaria, un mezzo innovativo per far circolare le idee, reperire informazioni, finanziamenti per un progetto o semplicemente visibilità; uno strumento utile che, come tale, rimane vincolato alle capacità di chi lo utilizza, al suo bagaglio culturale. Ecco perché la risposta è: sì, Hannah Arendt sarebbe esistita e “La banalità del male” sarebbe rimasto un tragico capolavoro.
La tecnologia lega la macchina con il suo fruitore, anche nelle possibilità di espressione: se non so come iscrivermi e caricare le foto su Flickair non potrò mostrare le mie foto, privandomi così di un canale, di una piattaforma.
Questa è un’ignoranza che si paga: se non so come creare un’app, in caso di necessità, dovrò pagare qualcuno che lo sappia fare oppure dovrò rinunciarvi.

La tecnologia ci lega in un rapporto direttamente proporzionale dove: meno sono le capacità del fruitore, meno saranno le “possibilità” sfruttabili della macchina. In breve: è inutile che compri un Macbook Pro se ci devi giocare a Solitario. Come è inutile avere tutte le focali per una Canon 5D Mark III se non sai come cambiarle.
Qui il punto è: Il web è uno strumento di comunicazione potentissimo, ma pur sempre uno strumento, un veicolo di un bagaglio di conoscenze che devono esistere comunque, aldilà del mezzo, nell’utente; sempre che al web non sia richiesto una mera funzione di intrattenimento. Chi naviga in rete deve essere già provvisto di una propria guida che sia in grado di adattarsi e ampliarsi nella fitta giungla del web.
Una volta acquisito il minimo di bagaglio di conoscenze “tecniche” richiesto dalle proprie esigenze si potrà finalmente iniziare ad usare la macchina, smettendo di dubitare che solitamente accada il contrario.
Per interagire sul web ci sono dei veri e propri codici stilistici, si pensi a come viene solitamente titolata una foto su Facebook e su Instagram; ad un vero e proprio codice linguistico, a cui ci si deve attenere obbligatoriamente se si vuole partecipare, si pensi ai 140 caratteri di Twitter. O ci si attiene o si rischia che la nostra comunicazione sia incompleta, travisabile, inefficace.
E Twitter è solo un esempio di quell’universo di codici linguistiche che il web richiede.
Ricapitolando: conoscenze della macchina e codici linguistici da apprendere. Perchè per quanto si continui a ripetere che il web è a portata di tutti, la realtà è ben differente, soprattutto se la portata va al di là dell’intrattenimento online. Internet richiede un bagaglio culturale ampio, elastico e capiente, oltre ad una grande capacità di sintesi, di “compressione” del pacchetto dati.
“ (…) Il gusto dei nostri tempi preme la rapidità e la sintesi, assai graditi ai giovani che rifuggono dalla lettura di articolesse, e punti di forza del web. Restano dominio dalla carta, si dice, l’approfondimento e l’autorevolezza: il che è vero, purchè si eviti di scambiare per approfondimento la lunghezza dei testi e per autorevolezza un rapporto più o meno organico con l’autorità. (…)”
(Giulio Anselmi, “Le due informazioni”)
La sintesi è ciò che domina la comunicazione via web, la filosofia del “one scroll, no more.” Una filosofia che, abbinata alla democratica universalità, del mezzo ha dato sfogo a mille tastiere delle quali sentivamo poco il bisogno, oltre che far nascere web journal ed e-zine poveri di contenuti. La sintesi è fatica perchè rappresenta un passo ulteriore nel processo comunicativo.
La sintesi, molto spesso, sul web non è altro che un paravento per una misera mancanza di contenuti; al contrario diventa una brutta bestia quando si hanno contenuti da veicolare.
Non tutti hanno le capacità di sintesi di Michele Serra e della sua “Amaca”, ecco perché il più delle volte è solo una scusante per articoli corti e poveri di sostanza, per lo più frutto di un mero copia e incolla farcito di qualche riga. Ed è uno sbaglio pensare sia un errore prettamente giovanile, potrei fare una lista enorme di siti, simil giornaletti gestiti da over 50 che scrivono piccoli articoletti di rimando o pieni di un livore personale che condividono solo con se stessi, con risultati evidenti.
Una volta riusciti a bilanciare il tutto, solo allora si può pensare di essere navigatori coscienti, che riescono ancora ad avere un dominio sul mezzo e da esso riuscire a cavarne qualcosa di buono, magari riuscendo anche a mettere in rete proprie conoscenze, condividendole sui mezzi e nei modi più efficaci.
La sintesi dovrebbe escludere dal web tantissime discussioni troppo lunghe per essere contenuti su mezzi così insofferenti all’approfondimento che, per sua natura, non me ne voglia Anselmi, necessita di tempi e spazi lunghi, sicuramente più lunghi di uno scroll o di 140 caratteri. Ecco perché Hanna Arendt avrebbe comunque scritto il suo libro testimonianza, sul web avrebbe potuto inserire uno stralcio, magari su un magazine specializzato, su un blog, ma l’opera vera e propria sarebbe comunque stata stampata su di un libro, al massimo accompagnata da una versione scaricabile su Kindle.
Perché nonostante quello che si può sentire: la carta rimane il modo più comodo e meno impegnativo, per gli occhi, per leggere una storia.
Quindi: se avete una bella storia scrivetela e se la dovete scrivere sul web, cercate di essere stretti, ma se invece una non siete forniti di una storia o scrivete per senso di frustrazione, per piccole battaglie personali, per fare del vocio arterosclerotico, perché dovete far sentire la vostra voce, allora rinunciate perchè usereste Internet come un “giocattolo tecnologico” e soprattutto scrivereste solo brevi vuoti a rendere.
Edoardo Romagnoli