“Un’epoca – quella in cui si vive – non si respinge, si può soltanto accoglierla.”
(Francesco Piccolo)

Sarà stata la scarsa fantasia dei gentili donatori o un’idea sbagliata che si erano creati di me, il fatto è che fin da piccolo nel periodo che va dal 29 Novembre, data del mio compleanno, al 25 di Dicembre, sono stato sommerso dai libri. Così tanti che penso di aver iniziato a leggere per costrizione, non sapendo che farne di tutto quel “pensare” stampato.
Non ho particolari caratteristiche come lettore, ho prediletto alcuni generi su altri, ma ciò non mi ha impedito di leggere anche gli altri, non ho pregiudizi di alcun tipo né verso alcuno, non appartengo a nessuna categoria, fun club di scrittori o generi, non ho mai seguito nessuna saga e spero che, ancora per molto, siano l’istinto e la curiosità le mie bussole in libreria.
C’è solo una costante che mi porto dietro da sempre: il buon giudizio su un libro è sempre stato legato con un rapporto direttamente proporzionale al mio grado di consenso con ciò che vi era scritto.
Più ero d’accordo con ciò che veniva scritto, sostenuto o raccontato e maggiori erano le possibilità che il giudizio finale sul libro fosse positivo.
E’ sempre accaduto così fino a un mese fa, quando un mio caro amico mi ha regalato un libro che non conoscevo “Il desiderio di essere come tutti”, di un autore conosciuto: Francesco Piccolo.
Ho fatto una fatica enorme a leggerlo, ho dovuto compiere uno sforzo, con l’ostinazione paranoica di chi non vuole lasciare niente a metà, volevo finirlo e archiviarlo nella mia libreria.
E così l’ho letto in treno, sul divano di casa dopo il pranzo di Natale, ho continuato a leggere sfruttando ogni spazio libero, ogni piccola pausa, fino a finirlo, fino a scoprire che, nonostante tutto, mi era piaciuto.
“Il libro è un romanzo di formazione individuale e collettiva” come da definizione, è la storia del nostro paese, percorsa a grandi tappe, che si è svolta e si svolge in parallelo alla storia dello scrittore.

Due storie contigue, dove non si capisce, quale fa da sfondo all’altra, due storie percorse a grandi salti, fermandosi solo ad alcune pietre miliari, senza neanche toccarle tutte.
Il desiderio di essere come tutti è un libro che ti costringe a fare i conti con le parole che contiene, per consenso o per antitesi è un libro che prende parte e si spiega. Un libro che è, prima di tutto, un percorso cognitivo che ci urla in faccia l’impossibilità di sentirsi parte di tutto il bello che è stato, se prima non ci sentiamo responsabili di tutto il “marcio” che c’è stato e continua ad essere; che va oltre dicendoci che quel marcio fa parte di tutti noi. Ci dice che nel marcio si può anche essere felici, felici come non lo eravamo quando pensavamo di essere nel “giusto”, custodi della parte sana, di quel bene che partoriva la nostra diversità.
Se non ci sentiamo corresponsabili del degrado che gli ultimi trent’anni di politica hanno prodotto, se non sentiamo di esser stati anche noi parte di tutto questo, non potremmo mai far pace con noi stessi, ci sentiremo sempre diversi, la parte sana, a sé stante, isolandoci fino alla marginalità. Se non ci sentivamo italiani al cucù berlusconiano alla Merkel non avremo il diritto di sentirci italiani davanti alle immagini di un Pertini festante, che sventola la mano sinistra come un fazzoletto, di ritorno dai Mondiali ’82.
Un libro che ci obbliga a sentirci come tutti, nonostante tutto.
Edoardo Romagnoli
Ho appena finito di leggere “il desiderio di essere come tutti” e devo ammettere che sono rimasto deluso. Se questo ha vinto il premio strega…