“La Grande bellezza” ha vinto il Golden globe, non succedeva dal 1999 che un film italiano venisse premiato come migliore film straniero era “Il nuovo cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore.
Ha vinto perché è un gran film, anche se non ho visto gli altri in gara, ha vinto perché se è vero che “Flaubert non è riuscito a scrivere un romanzo sul nulla”, Sorrentino, del nulla, è riuscito a farne un film.

Ricordo di averlo visto, appena poco dopo l’uscita, in un cinema romano all’aperto, allestito dentro il chiostro del Bramante. Sarà stata la stanchezza accumulata nei giorni precedenti o la location conciliante, il fatto è che mi addormentai in un sonno profondo, pochi minuti dopo l’inizio. Quando mi svegliai erano tutti molto entusiasti, per prima l’amica con cui ero andato a vedere il film, che sarà stato per il buio o per la mia tecnica di dormita discreta, affinata negli anni del liceo, sembrava non essersi accorta del mio colpevole sonnellino.
Così per molto tempo sono rimasto con l’amaro rimorso di quella dormita al cinema, fino a quando decisi di rivedere il film, in streaming, sentendomi addosso la sensazione di chi ruba un cellulare, una borsetta o un cd da uno degli ultimi negozi di dischi aperto in città.
Devo dire che non rimasi molto colpito, mi ricordò un film che vidi qualche anno fa: The Tree of Life, senza quelle belle immagini che avevo reputato l’unica cosa decente di quel film.
Senza alcuna ragione mi aspettavo un film diverso e quella sensazione da spettatore abbacinato che mi aveva lasciato, non mi soddisfaceva, mi sembrava di essere stato in discoteca, di aver perso del tempo. Mi sembrava che il film fosse vuoto, retto solo da una geniale regia e dalla faccia magnetica di un Toni Servillo in versione fenomeno.
Eppure era come se non avessi colto qualcosa, che la falla fosse nella mia barca.
Poi ho letto le parole di Sorrentino: “Ho voluto fare un film sul nulla.”
Ecco la mia falla, ecco dove sbagliavo, allora se era un film sul nulla, è stato un lavoro riuscito e se non mi era piaciuto era perché in quel momento non avevo voglia di quel film, mi aspettavo qualcosa e mi è arrivato il nulla, ma più che ad una ventata assomigliava a un mattone.
Il vuoto che il regista cerca di rappresentare è la ricerca del barocco, di una vita speciale, il goffo tentativo di quei personaggi che per fuggire alla monotonia, se ne creano una nuova in cui fingere che tutto sia più bello ed esclusivo. L’enorme spreco di tempo in quella città che “ti distrae”.
Quella di Jep Gambardella è la storia di una parte di questo paese, è la biografia di alcuni personaggi che sul nulla hanno edificato le fondamenta delle proprie posizioni e che nel nulla si ritrovano sorseggiando cocktail fortemente alcolici.
Il nulla diventa uno spazio vuoto, un liquido amniotico in cui i personaggi si trovano immersi, che necessita di essere colmato per non doverne ascoltare l’assordante silenzio.

Ed ecco allora le feste dove immergersi nella musica ad alto volume, le albe dove far morire la notte, una vita che scorre senza tempi morti, senza silenzi dove si corre il rischio di partorire amari bilanci.
E’ un film che trova il suo set naturale a Roma, fra i suoi bellissimi palazzi stanchi e le lucenti rovine. Sorrentino sceglie la città eterna per un film che parla di una bellezza piccola perchè ferma, statica, che non crea niente di nuovo, se non opere e azioni interessate, di personaggi poco interessanti.
In questa melma rumorosa di facce e brindisi inizia il tardivo bilancio di Jep, inizia la ricerca di una bellezza più grande che non esclude alcun tempo e nessun luogo, ma che spazia dalla speranza per il futuro agli irreparabili eventi della memoria; una ricerca che spiana tutti i dubbi sul tentativo di celebrazione di quel nulla.
Dove la Santa non fa che da contraltare francescano a quella vita piena di posati eccessi.
Dove la mostra delle foto che l’artista si è scattato quotidianamente, non fa che mostrare a Gambardella e allo spettatore come il tempo abbia un ritmo e scorra inesorabile, sia da fermi che in movimento, sia che lo si fermi in un’istantanea sia che lo si confonda nel nulla.
Edoardo Romagnoli