Era un giovedì pomeriggio e mi trovavo a Pompei già da un giorno, il tempo necessario per mangiare un babbà e un bel piatto di pesce, bere un limoncello, un bicchiere di Lacryma Christi e vedere il santuario della Beata Vergine del rosario di Pompei, più volgarmente nota come ‘a Maronn ‘e Pompei. In pratica avevo già fatto i tre quarti delle attività consigliate a Pompei, ne mancava solo una all’appello: gli scavi di Pompei.
Ed eccomi lì, in un assolatissimo giovedì 3 Aprile in cui l’effetto serra stava facendo sudare le pietre, davanti alla biglietteria degli scavi di Pompei, il secondo sito turistico più visitato in Italia, preceduto solo dalla trinità: Colosseo, Foro Romano e Palatino. Non immaginavo la biglietteria della Nasa, ma almeno il livello di quelle che si vedono nei centri commerciali con le multisale annesse.
La biglietteria è uno sgabuzzino in fondo ad un vialetto sulla destra, rinchiusa fra il cancello d’ingresso e i tornelli per entrare al sito.
Il biglietto costa 11 euro. Non faccio un metro dopo i tornelli che un uomo sulla quarantina, immerso fino al ginocchio in un nugolo di cani randagi mi offre una visita guidata.
“60 euro per te. Altrimenti erano 110.” Rifiuto e vado avanti.
Pompei è un sito archeologico immenso, 60 ettari per le brochure informative, 44 per Wikipedia. Seppur fondata nell’VIII sec dagli Osci, è nel III-II sec. a.C, con la dominazione romana, che Pompei diventa uno dei porti più attivi del Mediterraneo, oltre a rappresentare un’ambita meta di destinazione per la villeggiatura di aristocratici e ricchi mercanti romani, arricchendosi di ville e splendide dimore.
Una delle frasi più ricorrenti su Pompei è:”Come siamo stati fortunati!”
La fortuna di cui parlano inizia con l’eruzione del 23 agosto 79 a.C, quando una pioggia di lapilli incandescenti, scagliati dal vulcano a più di 20 km d’altezza, investì la città, distruggendo tutto ciò con cui venne in contatto.
Il giorno seguente, quando ancora la città era devastata e i cittadini ancora sconvolti, una nube tossica che scese dal Vesuvio ad una velocità compresa fra i 60 e i 70 km orari li sorprese nei primi flebili tentativi di ricostruzione, uccidendo tutti i sopravvissuti e coprendo la città sotto una spessa coltre di cenere per 1700 anni.
La sfortuna è che nel 1748 Carlo III di Borbone decise di iniziare degli scavi che in realtà avanzano ancora oggi, fra infiniti problemi, mille ruberie e continui crolli; portando alla luce un patrimonio immenso, ma che sfortunatamente non si può visitare per intero, ormai da tempo e chissà quando lo si potrà fare.
La sfortuna è che, come spesso accade, quello che resiste lo fa a stento, barcollando sulla gambe, in un perenne stato di emergenza mal gestito e mal custodito.
La sfortuna è che il parcheggio del Metropolitan Museum di New York fattura, in un anno, quanto tutti gli scavi di Pompei.
La sfortuna è che la copia del celebre mosaico del Cave canem nella casa di Paquio Proculo si sia rovinata e che quello nella villa di Nettuno della dea Artemide sia stato rubato su commissione.
La sfortuna è che sulle mura delle case pompeiane siano state ritrovate delle scritte: da ultrà “Nocerinis Infelicia”, da amante devoto “Marcus spendusam Amat” e da ammiratore ignoto come “Suspirium duellarum celadus thraex”; cosa che evidentemente ha fatto sentire autorizzati i turisti di tutto il mondo a replicare in chiave moderna l’antica usanza, tanto che oggi si possono ammirare scritte come: “Ana + Tony”, l’immancabile “Enzo è stato qua” e lo speranzoso “Mary sei bellissima”.
La sfortuna è che accada di fare una collezione di rifiuti passeggiando per via della Fortuna e fortunato chi riesce a trovare un guardiano, non dico vigile, ma almeno uno sveglio.
La fortuna è che, fra le tante disgrazie inutili che accadono ogni giorno nel mondo, almeno l’eruzione del 79 ci ha permesso di conservare una fotografia esatta di cos’era la vita a quel tempo, non solo a Pompei.

La fortuna è quella di poter pestare il selciato che ancora riposa intatto sopra via dell’Abbondanza, in barba a tutti i documentari in 3D girati in 4K, a tutte le illustrazioni patinate e le ricostruzioni da Hollywood; poter respirare l’aria che tira fra le vigne antiche, camminare per i giardini della casa del fauno, poter sbirciare nella dimora del candidato al duumvirato Giulio Polibio, precursore nell’imbrattare le mura pubbliche con i manifesti elettorali, poter entrare nei panifici e nei bordelli, le lupanare con i letti in pietra, dove non è difficile immaginare quel che si consumava, visto che è ancora dettagliatamente illustrato sulle pareti.
E’ un bonus per l’immaginazione: tenete io vi do il disegno quasi finito, voi abbellitelo, coloratelo e definitelo.
La fortuna è che la bellezza conservata in questo posto riscopre i lacci col passato, una bellezza che ha ispirato Mozart e i Pink Floyd e che dovrebbe metterci all’erta su quello che lasceremmo di bello e di nostro, se domani un vulcano ci imprimesse per 2000 anni nel frigorifero della Storia.
Quello che ho visto è quello di cui si parla sempre quando si parla degli scavi, lo splendore accanto all’imminente catastrofe. Una lenta degradazione di un’alba che sembrava eterna.
E allora le speranze sono due:
– la prima è che prendiamo atto della nostra inettitudine e seppelliamo tutto, sperando che la civiltà che ritroverà Pompei sia messa meglio, più in grado di gestire una fortuna così sfaccciata;
– la seconda è che Angela Merkel, in visita proprio oggi a Pompei non decida di farlo diventare sito europeo con gestione teutonica;
Pompei è stato denominato “patrimonio mondiale dell’umanità” dall’Unesco nel 1997, ma non è servito a preservarla, come non ci sono riuscite le centinaia di milioni di euro stanziati dall’U.E, andati perduti nelle solite tasche.
E allora sotterriamola o diamola in appalto. Un’idea anche per risolvere i problemi nell’immediato futuro perchè Pompei è un’occasione unica, ma che si è ripetuta anche altrove, per fortuna o purtroppo, quasi sempre in Italia.
Edoardo Romagnoli