I taccuini sono vuoti

Siamo riusciti a tappezzare la terra di ripetitori, lo spazio di satelliti, le case di computer e le tasche di smartphone, adesso ci troviamo con i taccuini vuoti.

“Il numero degli abbonamenti alla telefonia mobile sottoscritti nel mondo supererà quello delle persone nel 2014. Il sorpasso storico è stato previsto dall’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni. Attualmente ci sono 6,8 miliardi di abbonamenti mobili e 7,1 miliardi di persone ma se il tasso di crescita continua ai livelli correnti il superamento sarà inevitabile. “

(La Stampa, 10/05/2013)

Quando mi capita di entrare in alcune scuole e vedere la Lim (la lavagna elettronica) penso che la mia generazione fa parte di un enorme gruppo dei figli della cimosa, una delle ultime generazioni costrette a scrivere la brutta copia prima di consegnare il tema, ad appuntarsi sul diario, pieno di pagine scribacchiate, i compiti per il giorno dopo, ad ingessarsi le mani per svolgere un problema alla lavagna, insomma una delle ultime che avrà avuto a che fare con la carta, con lo scrivere come gesto della mano.

Penso di aver iniziato a scrivere per riempire tutti quei bellissimi blocchi che mi regalavano, perchè da piccoli far conoscere a parenti e amici una passione, anche solo un abbozzo, è il modo più semplice per trovarsi, ad ogni occasione utile, sommersi da una serie di svariati regali monotematici.

Ancora oggi ho una passione per tutti gli articoli da cancelleria, una passione che talvolta varca i limiti della malattia, una sorta di disposofobia da cancelleria, un accumulo patologico che mi porta ad accaparrarmi ogni tipo di blocco, quaderno, penna(obbligatoriamente a punta fine), lapis, normografo e tutti quegli oggetti che hanno a che fare con lo scrivere.

Parte del tesoro da cancelleria
Parte del tesoro da cancelleria

Ho dei quaderni così belli che inizierei a scrivere un libro solo per riempirli, se solo avessi il coraggio di usarli come brutta copia, ma la verità è che la maggior parte di queste meraviglie giacciono piene di pagine bianche negli angoli più reconditi di casa e tutto il tempo che ho speso per trovarli e accumularli si è rivelato inutile, perchè oggi la carta non si usa più, almeno non per comunicare in maniera informale e talvolta nemmeno per le formalità, per non parlare delle liste della spesa o dei taccuini dei giornalisti, anche di quelli ne sono rimasti ben pochi.

I nativi digitali si perderanno, con molta probabilità, la bellezza della carta e lo scrivere lascerà il posto al digitare o a qualche altro surrogato.

I cellulari stanno per superare il numero di utenti, senza contare tutti gli altri dispositivi elettronici, tutti con una cosa in comune: la possibilità di comunicare, soprattutto in maniera istantanea.

Nonostante la tendenza sia verso un tipo di comunicazione rapida e istantanea, il linguaggio che si usa su queste piattaforme è più una “lingua scritta che è stata attratta verso il parlato, piuttosto che una lingua parlata trasferita nello scritto” (D.Crystal).

Per assurdo l’evoluzione di questi ultimi decenni ha favorito quello che è un ritorno effettivo alla scrittura, scrittura che passa attraverso una tastiera che sia di un computer, un tablet e un cellulare; la lingua che utilizziamo per esprimerci è ancora una lingua scritta, nonostante una certa libertà nelle regole grammaticali (vedi tutte le forme contratte) e un costante tentativo di imitare tutti quei segni non verbali, tipici dell’oralità.(vedi smile)

Non c’è stato un momento in cui i cassetti delle scrivanie di tutto il mondo non sono stati più aperti, eppure chi scriveva adesso lo fa su uno schermo, quando non lo condivide direttamente in rete, e anche chi non ha mai scritto una riga adesso è costretto a scrivere se vuole essere ascoltato.

«Se scrivi con la penna d’oca devi grattare le sudate carte e intingere ad ogni istante, i pensieri si sovrappongono e il polso non tien dietro, se batti a macchina si accavallano le lettere, non puoi procedere alla velocità delle tue sinapsi, ma solo coi ritmi goffi della meccanica. Con lui invece le dita fantasticano, la mente sfiora la tastiera, via sull’ali dorate…»

(Umberto Eco, “Il pendolo di Foucault”, 1988) 

Una svolta, una curva stretta in una gara rapidissima da cui è impossibile tornare indietro; le nuove tecnologie hanno riportato in auge la scrittura, modificandola, piegandola a quelle che sono le direttive principali del tempo in primis la rapidità, l’istantaneità della comunicazione; e allora in che modo scriveremo nel futuro?

Lo scrivere digitale è una scelta:

1)più ecologica, pensiamo a tutti i nuovi giornali online che non stampano più una pagina o ciò che potrebbe essere per i documenti burocratici della pubblica amministrazione e dei tribunali;

2)più veloce, principalmente perchè oggi uno scritto, se vuol essere letto, deve anche interagire con la rete, basti pensare al mondo della stampa digitale, delle agenzie che hanno abbandonato in fretta i taccuini per i tablet;

3) più incisiva, perchè  grazie alla sua natura multimediale può offrire di più al suo lettore, basti pensare solo alla funzione dei link per capire l’enorme differenza di potenziale fra un A4 e una pagina del web;

C’è chi pensa che”(…) in una società libera dall’ingombro della carta si presenterà il problema dell’eccesso di conservazione perchè disabituati alla selezione e alla gerarchizzazione dei materiali.”, ma questi sono sofismi che adesso possono lasciarci dormire tranquilli visto l’ingombro della carta.

Scrivere su carta ha i suoi vantaggi: in primis un bloc notes non si scarica mai, al massimo finisce le pagine, ma si può sempre scrivere sulla copertina di cartone, si memorizza meglio ciò che si scrive e un recente studio dell’Università di Washington ha evidenziato come chi scrive su carta riesca a produrre elaborati più originali rispetto a chi scrive su tastiera.

E’ indiscutibile che la scrittura su carta, pur perdendo molti fan, conserva ancora l’egemonia dello scrivere in quanto azione vera e propria, l’atto dello scrivere si può, ancora oggi, compiere solo quando si disegnano le lettere che compongono l’alfabeto, sia che lo si faccia con una penna, sia che lo si faccia con un gesso, una matita o pennello che sia.

E in quell’atto c’è qualcosa di educativo, di pedagogico, altrimenti perchè per insegnarmi l’alfabeto mi hanno fatto scrivere ogni singola lettera fino a riempire quaderni interi? Perchè quando distrussi un cestino del pane alle elementari mi hanno fatto scrivere centinaia di volte che non si gioca col cestino del pane? (Lezione che per altro servì, visto che non ho mai più distrutto anche un solo cestino del pane fino ad oggi)

E allora se lo scrivere su carta diventerà davvero “un esercizio estetico di stile”, che cosa potrebbe comportare?

Probabilmente niente, soprattutto se la generazione di passaggio, cioè noi, riuscirà a trasferire quelle che sono le buone pratiche dello scrivere anche sulla tastiera, non dimenticando mai che l’ingrediente principale per scrivere qualcosa di sensato è il cervello.

Edoardo Romagnoli

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