
Le città cambiano forma, si stratificano, sedimentano, riadattano alcuni angoli alle esigenze del presente, cercando di conservarne intatti altri da consegnare alla storia. C’è un angolo di Roma che pur non sottraendosi agli inevitabili mutamenti del tempo, è cambiato solo per tornare ciò che era, come se per quello e solo per quello fosse stato creato.
In questo angolo di Roma che prende un ettaro sul versante orientale del colle dell’Aventino, si dice che già nel III secolo a.C vi fosse un tempio dove dal 28 di aprile ai primi di maggio si tenevano i Floralia, festeggiamenti in onore alla dea Flora, divinità della fioritura dei cereali e di tutte le piante edibili.

Nel 1645 i destini di quello che era diventato un appezzamento di terra incolto e Porta Portese si intrecciarono per colpa di un cimitero ebraico.
I fatti sono questi: la comunità ebraica di Roma era solita seppellire i propri defunti appena all’interno della vecchia Porta Portese, ma quando nel 1645 venne costruita la nuova porta proprio dove sorgeva quel cimitero, la comunità ebbe il permesso di spostare il cimitero sull’Aventino.
Qui grazie alle politiche di inclusione promosse dal papato prese il nome di ‘Ortaccio degli ebrei’ e questo nome conservò fino al 1870, quando la caduta dello stato pontificio permise di allentare la tensione a tal punto che nel giro di pochi anni, agli ebrei, si aprirono anche le porte del cimitero monumentale del Verano costruito nel 1836, ma fino ad allora ad uso esclusivo dei cattolici.
Dal 1895, anno in cui all’Aventino non fu più concesso seppellire, si deve fare un salto temporale fino al 1924 quando un’elegante signora originaria della Pennsylvania, Mary Gayley Senni, decise di regalare al comune la collezione di rose che aveva faticosamente coltivato nel giardino della sua casa a Grottaferrata.

Le rose furono effettivamente prese in custodia dal comune che le piantò in un’aiuola sul colle Pincio, a Mary però quella sistemazione non piacque e decise di riprendersele in attesa di qualcuno che sapesse valorizzare le sue rose. Passeranno otto anni prima che si decida a regalarle nuovamente, stavolta il prescelto fu un solerte funzionario fascista: Giovanni Boncompagni Ludovisi, governatore di Roma, che decise di valorizzare sia le rose sia Mary e così, in ordine: fece istituire sul colle Oppio il primo roseto comunale, lì fece piantare le rose della signora Senni e non contento decise di istituire il concorso floreale, tuttora esistente, premio Roma mettendola nella giuria in rappresentanza dell’American Society; la prima edizione del concorso si tenne nel 1933 e il primo premio andò ad una varietà di rosa chiamata Condesa de Sastago.

L’anno dopo il roseto viene tagliato a metà con la costruzione di via di Valle Murcia che tuttora divide il roseto in due: una a monte, una a valle.
Nel frattempo la situazione politica degenera e nel giro di dieci anni l’Italia entra in guerra e non c’è spazio nè per le rose, nè per i concorsi. Il roseto comunale di Colle Oppio diventa un orto di guerra, prima di essere distrutto dai bombardamenti.


La guerra finisce, l’Italia si rialza e anche l’effimero ritrova il suo spazio.
Il comune con il consenso della comunità ebraica adibisce l’area orientale dell’Aventino in giardino pubblico, ma in ricordo del cimitero ebraico che prima sorgeva su quella porzione di colle vengono poste due tavole della legge di Mosè ai due ingressi del roseto e i viali della parte a monte vengono disegnati a forma di Menorah, il candelabro a sette braccia della tradizione ebraica. Dell’antico cimitero vengono salvati solo i cipressi, tuttora presenti nel roseto.
Nella zona a valle, disposte nelle aiuole centrali vi sono tutte le specie di rose che hanno vinto il premio Roma negli anni, dalla prima vincitrice del 1933 la Condesa de Sastago sino alla Bar7732, l’ultima premiata della 73esima edizione nella categoria floribunde. In totale sono 1100 specie diverse provenienti da più di venti paesi, dalle più profumate alla puzzolentissima phoetida persiana, dalla rosa dedicata a Sandro Pertini a quella per Paganini passando per Rembrandt e Karen Blixen.

Finchè ci sarà posto per una cosa bella ed effimera come un roseto vorrà dire che non tutto sta andando perso, fino a quando questo roseto non diventerà un orto queste rose ci daranno una fragile testimonianza di come siano labili gli equilibri, di come sia importante prendersi cura dei luoghi che ci fanno star bene e che regalano a tutti, senza distinzioni, un angolo di paradiso.
Se capitate a Roma in un periodo compreso fra l’inizio di maggio e la fine di giugno e vi trovate dalle parti di Circo Massimo sappiate che, dalle 8.00 alle 19.30, potete entrare gratuitamente in questo giardino pieno di storie e di storia, in questo incantevole regno dell’effimero dove grazie alla tenacia di una donna americana e alle congiunture della storia, dai tempi dei Floralia ogni anno, per 40-45 giorni, si ripete l’incanto della fioritura.
Edoardo Romagnoli
[…] Fino a qui nulla di speciale, ma sopratutto niente che spieghi la presenza di statue romane all’interno della centrale, perchè come succede alle persone anche le storie di alcuni edifici si intrecciano per dare vita ad altro. (vedi il roseto di Roma) […]