Spiaggia Mugoni, Alghero, Sardegna nord occidentale – 20 agosto ore 10.30
Le dormite in spiaggia sono lunghi viaggi temporali interrotti da continue sveglie utili per riaggiustare la posizione del corpo, scavare una buca per la testa sotto l’asciugamano e riposizionare le braccia nella speranza di bloccare il processo avanzato di informicolamento.
Ho appena finito di sistemare il braccio destro e sono pronto a riaddormentarmi quando un ciabattare insolito mi assale alle spalle, mi giro. Dalla collinetta dietro alla spiaggia sta scendendo un tronco di legno antropomorfo sui 30 anni con addosso un paio di RayBan a goccia, un Sundek nero di cui ancora non riesco a vedere il colore dell’arcobaleno e, per l’appunto, un paio di infradito. Mi dico che è presto, troppo presto ancora per l’arrivo dei “conquistadores”, perché in genere questa speciale categoria di bagnante fa la sua comparsa in spiaggia nelle ore più calde, sicuro di non perdersi nemmeno uno dei raggi ultravioletti più cancerogeni della giornata.
Eppure quel capello ingellato a crestina nonostante l’incipiente calvizia, quel costume, l’occhiale, ma sopratutto quel modo di camminare basculando da destra verso sinistra come a doversi trascinare un peso sulle spalle che non c’è, mi porta a pensare che sono davanti a un esemplare mattutino della specie.
Qualcosa non mi torna: dove sono le borse frigo? E l’ombrellone? Un “conquistadores” da spiaggia non si presenta così minimalista, loro cercano di stare comodi e visto che come a casa non si trovano comodi da nessun’altra parte sono soliti trasportarsi casa sulla spiaggia. E così spero di sbagliarmi.
Intanto lui si sta avvicinando, è un maestro del ciabattare, lui non struscia come una bacchetta a spazzola da jazz sul selciato, lui batte l’infradito sul tallone come grancassa e tiene un ritmo forsennato, alzando geyser di sabbia che si innalzano dietro la schiena fino a superargli le spalle.
Mi è arrivato quasi davanti quando si ferma di colpo e immobile sulle gambe, girando solo il tronco, si guarda alle spalle, si porta una mano sul lato della bocca e inizia a gridare:”Amòòòò! Amòòò!”. Tutti i dubbi vengono spazzati via come aghi di pino dal vento.
Eccola lì il suo amore, una ricrescita bionda legata in un bikini nero che sarebbe stretto a Emily Ratajkowski, dietro di lei due bambini, un signore sulla cinquantina e altri due ragazzi con un’abbronzatura da olio di mallo.
Quattro borse frigo, tre ombrelloni, due materassini gonfiabili, sei sdraio e una quantità indefinibile di sacchetti. Perchè al “Cortes” piace la natura e non è un superficiale quando si tratta di scegliere la spiaggia, è informato e non è un caso che questa truppa sia qua oggi e non in uno dei lidi attrezzati vicino al porto.
Questo tipo di villeggiatori non vuole i posti affollati, li vogliono affollare loro, e non vogliono la spiaggia attrezzata, la vogliono attrezzare loro e mentre mi sto perdendo in mille rivoli di pensieri hanno già piantato gli ombrelloni, creando un’ombra da 150 metri quadri, stappato cinque birre, mentre uno dei ragazzi sta cercando di infilare tre etti di prosciutto crudo in una rosetta troppo piccola per accoglierli.
Proprio quando spero che sia finito tutto, il tutto comincia. L’allegra combriccola, forse gasata dalla birra e dai trecento tipi di affettati, aumenta i giri al motore mentre a qualche metro di distanza inizia una spola fra la postazione appena eretta e il bagagliaio che, vedendo la mole d’attrezzatura che trasportano, immagino sia quello di un tir.
E’ un continuo andirivieni, una volta con i palloni, poi con i racchettoni, poi con un telo, poi il libro da colorare per i bambini, la pompa a pedale per i materassini, un’altra borsa frigo, il nono telo, un frisbee e così via.
Mentre lo guardo mi torna alla mente il racconto di una spedizione che ho letto da poco in un bellissimo libro di Bill Bryson, avvenuta nel 1735 in Perù venne organizzata dai membri dell’Académie Royale des Sciences, fu guidata da Pierre Bouguer e Charles Marine De La Condamine e puntava a stabilire la circonferenza della terra misurando la lunghezza di un grado meridiano. Passò alla storia forse come la spedizione scientifica meno riuscita di tutti i secoli.
Decisero di seguire una linea di 320 chilometri che andava da Yarouqui fino a poco dopo Cuenca in Ecuador, ma le cose si misero male quasi da subito: vicino a Quito la spedizione dovette scappare da una folla di indigeni inferociti che li prese a pietrate, poco dopo il botanico impazzì, il medico venne ucciso per un malinteso sorto a causa di una donna, un anziano del gruppo scappò con una tredicenne del luogo, mentre altri morirono o si ferirono in modo grave a causa di cadute e febbri.
Il nostro uomo invece è ancora lì ad assicurarsi che fra il campo base e la battigia non manchi niente, quel suo andirivieni incessante ha scavato una pista nella pineta, poi d’un tratto la truppa decide per il bagno e che bagno sia, nonostante le birre, le parmigiane e tutte quelle rosette che assomigliano a bombe a mano ricolme di prosciutto.
Tutti in acqua! La transumanza verso il mare è rumorosa, arruffata, come la corsa dei bisonti assetati verso il fiume, la nuvola che si forma ricopre tutto come nebbia di sabbia poi, finalmente, l’acqua. Non li vedo entrare, la rena sta ancora volteggiando a mezz’aria, ma si sente lo scroscio, le grida di giubilo: sì, sono arrivati in acqua.
E con loro si sono portati i due materassini più un’orca gonfiabile che devono aver comprato quando mi sono distratto a pensare alla spedizione, una palla da calcio e una da pallavolo, di quelle a strisce blu e gialle, tre maschere, due pinne, un boccaglio che si passano il bambino e uno dei ragazzi, un frisbee e gli immancabili racchettoni.
Forse hanno anche una borsa frigo, magari la tengono sott’acqua e non la vedo.
La mia mente torna a quella spedizione, a Bouguer ‘il padre dell’architettura navale’ e La Condamine il matematico, me li immaginavo a guadare un fiume con i muli carichi di tutta la loro attrezzatura, mi domandavo che effetto dovevano fare agli indigeni del posto quegli stravaganti occidentali a mollo con quei loro colletti in pizzo e i pantaloni a sbuffo.
Chissà che spedizione deve essere stata, chissà se avanzavano in silenzio perchè troppo stanchi, sfiancati dal terreno accidentato delle Ande o invece cantando baldanzosi, eccitati dall’avventura intrapresa? Di certo c’è solo che i miei vicini stanno colonizzando anche l’acqua fra grida da capodogli, schizzi e scenette di ogni sorta, tutti vicini l’uno all’altro continuano a chiamarsi, senza dirsi niente, si gridano in faccia come a volersi ricordare l’uno il nome dell’altro.
Sto entrando nelle ore più calde della giornata, lo sento dal sole che mi sta arrostendo i nei e così in linea con i classici consigli da telegiornale, pur non rientrando né nella categoria anziani né in quella dei bambini, prendo il telo e decido di lasciare campo libero ai conquistatori prima di ritrovarmi confinato in una riserva.
Una ritirata, come quella che avrebbero dovuto compiere anche Bouguer e La Condamine se quella missione non si fosse ben presto trasformata in un incubo.
Quando arrivarono alla fine delle loro rilevazioni ebbero due sorprese: la prima fu che avevano lavorato per quasi dieci anni in mezzo alle Ande per trovare un risultato contrario alla loro tesi e la seconda fu che non ci arrivarono neppure per primi, visto che poco prima un gruppo francese aveva fatto delle misurazioni molto simili alla loro a nord della Scandinavia, senza scordare che nel 240 a.c Eratostene da Cirene arrivò alla medesima conclusione, attraverso il metodo della triangolazione, senza muovere un passo fuori dal suo studio.
E rido, rido di quei soloni francesi che scalarono le Ande sudati nei loro colli di pizzo, rido di quei conquistadores da spiaggia e delle loro borse frigo e sono sempre più sicuro della mia tesi, questi sono degli zotici perché non è questo l’approccio che si dovrebbe avere con la spiaggia, con la natura in generale, troppo invasivo, troppo comodo, ma poi questa logica del “devo avere tutto a disposizione”. NO! io dico che sulla spiaggia si va con un telo e basta, se proprio devi un libro, ma niente ombrelloni, bisogna prendere il sole mica scansarlo e quando inizia a scottare è il segnale che si deve tornare a casa a mangiare, che così ci si risparmia anche la borsa frigo.
Cullato dal pensiero di essere un buon cittadino e un bell’essere umano mi avvio verso la bicicletta cercando un accendino che non ho, ma il panico mi assale solo quando effettivamente scopro di non averlo; è lì, in quel preciso istante che mi cambia tutta la prospettiva.
Inizio a vagare sulla spiaggia come un pilota della Parigi-Dakar rimasto con la moto in panne nel deserto, nessuno ha un accendino, in questa folla seminuda di lettori accaniti di gialli a 6 euro non ce n’è uno che abbia un accendino, in cuor mio so chi lo potrebbe avere e so anche di non poter cedere, ma il solo pensiero di dovermi fare tutta quella strada in bicicletta senza inondarmi i polmoni di fumo mi fa cedere di schianto.
I conquistadores stanno sorseggiando limoncello e sopra il tavolino che regge la bottiglia fanno capolino almeno tre accendini, mi avvicino deciso e ad ogni passo capisco che non sempre ci si può fidare degli Eratostene da Cirene, ma che a volte ci si debba forzatamente sporcare gli scarponi con l’empirismo e allora ben vengano Bouguer e La Condomine, ben vengano inutili, faticose e vane spedizioni sulle Ande per conoscere la circonferenza della terra, ben vengano gli ombrelloni, le sdraio e le borse frigo, ben vengano i conquistadores che esplorano e uccidono, che preparano il campo e abbelliscono il passaggio per garantire tutte le comodità ai nostri sofismi.
Edoardo Romagnoli