Il Maker Faire e la location sbagliata

Si è chiusa domenica l’edizione 2015 del Maker Faire di Roma che ha fatto registrare più di 100mila visitatori che hanno affollato gli oltre 300 stand allestiti negli spazi dell’Università La Sapienza di Roma.

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Un’edizione iniziata con le cariche della polizia davanti all’ingresso di piazzale Aldo Moro, manganellate agli studenti che chiedevano di entrare nella propria Università senza dover pagare il biglietto, che fosse 10 euro, 4 o 2 poco importa, quello che conta è che non sono stati fatti entrare e per convincerli a non rovinare la fiera sono stati prima caricati e poi, in cinque, sono stati arrestati.

La governance della Sapienza non è stata minimamente colpita dagli arresti di cinque suoi studenti ed è rimasta in silenzio, senza che le ragioni dei movimenti venissero prese in considerazione nemmeno per un secondo:

1- l’ingresso gratuito per gli studenti e per le studentesse;

2- la possibilità di ricavare dentro la fiera uno spazio autogestito in cui esporre la loro idea di innovazione;

3- trasparenza nella gestione degli introiti;

Il rettorato ha rifiutato l’incontro, eppure tanto si è parlato in questi tre giorni di stringere i rapporti fra l’università, gli studenti e le imprese, ma evidentemente non si faceva riferimento a tutti gli studenti, ma solo alcuni, magari quelli più carini, quelli più silenziosi o semplicemente i paganti.

Intendiamoci nessuno è contro i maker, né tanto meno contro manifestazioni che offrono una vetrina a quella miriade di buone idee che hanno trovato una loro declinazione in progetti veramente innovativi, ciò che lascia più di qualche perplessità è la modalità con cui l’università ha deciso di gestire l’intero evento. Solo questo è il problema, niente altro, anche perché ai metodi spicci della forze dell’ordine oramai siamo abituati, perché mai non avrebbero dovuto cogliere l’occasione di un pretesto inesistente per arrestare un paio di personaggi a loro scomodi?

Astraiamoci. Un evento, finanziato da privati, affitta, per 300mila euro circa, gli spazi esterni di un’università pubblica, fino a qui niente di male, anzi, questo succede in migliaia di atenei in tutto il mondo e spesso rappresenta un modo per far incontrare gli studenti con il mondo del lavoro. Il fatto è che si decide di far pagare un biglietto all’ingresso, seppur ridotto, a quegli stessi studenti che pagano ogni anno la retta all’università, si decide di non avere bisogno del personale mandandolo in riposo per una giornata, che di conseguenza non verrà retribuita, e si sospendono le lezioni del venerdì. Lecito, solo un po’ curioso che tutto questo venga deciso senza consultare nessuno, senza calcolare minimamente i disagi che hanno avuto sia i lavoratori che gli studenti. Una cosa del genere sarebbe stata inattaccabile in un’università privata, ma il fatto di essersi verificata in un’università pubblica cambia il quadro.

Qualcuno potrà obiettare che anche le piazze, che sono luoghi pubblici, vengono affittate e chiuse al pubblico da privati, ma davvero è un paragone che non regge almeno che non si voglia mettere sullo stesso piano la funzione educativa dell’università pubblica con una piazza. La Sapienza non è solo uno spazio pubblico, è un’università pubblica, il luogo deputato alla formazione dei cittadini, un luogo che appartiene a tutti, dove anche chi non è iscritto può seguire le lezioni, ecco perché una decisione del genere sarebbe stata opportuna prenderla dopo una vera consultazione.

Il Maker Faire è un evento bellissimo, dove basta girare per gli stand per capire quanto la fuga dei cervelli non abbia ancor intaccato la creatività, l’ingegno e la voglia di fare in questo paese, ma se fosse stato organizzato alla Fiera di Roma avrebbe avuto una vetrina migliore, più grande e con un ingresso ridotto per gli studenti avrebbe adempiuto alla mission educativa, risparmiandosi così una location di mera immagine, tanti problemi e cinque arresti.

Edoardo Romagnoli

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