Treno da Firenze Santa Maria Novella a Roma Termini, ore 18.45, un urlo frantuma il silenzio:
- La ricotta!
Il dormiveglia in cui pensavo fossimo tutti indistintamente immersi venne bruscamente interrotto. Un urlo, tipo di chi ha ricordato qualcosa di molto importante all’improvviso o chi ha ricomposto l’ultimo pezzo di un puzzle che cercava di mettere insieme da anni o anche no. Ero confuso, stavo dormendo.
- Ti dico la ricotta!
Stai a vedere che è tipo un mezzo gioco intellettuale, pensai. Lui le cita frasi di film celebri e lei deve indovinare il titolo, pensai anche che lei avesse azzeccato, ma lui fosse così pignolo da voler sapere il titolo del film e non del singolo episodio e finché lei non avesse detto Rogopag lui non sarebbe stato contento. Uno sleale. Ed è per questo che immediatamente dopo mi trovai a pensare ad un ipotetico sadico.
- La ricotta, devi metterci la ricotta – urlava dentro un telefono esausto, inondando di decibel tutto il vagone.
- Sì la ricotta, la prendi, la metti in un fazzoletto e poi te la appoggi sulla gola tutta la notte.
No, comunque niente gioco mezzo intellettuale, niente sadico. Solo una delle tante rompicoglioni maleducate dedite all’omeopatia. Nonostante nessuno ebbe il privilegio di assistervi, il lungo silenzio che seguì, ci fece intuire che la reazione avuta dal suo interlocutore non deve esser stata tanto differente da quella che ebbero tutti quelli vicino a lei. Nel frattempo una voce registrata ricordava a tutti di mantenere basso il tono della voce per non disturbare gli altri passeggeri.
Solitamente quando viaggio in treno preferisco prenotare uno di quei posti isolati: 2A, 2B cose così, numeri piccoli e lettere iniziali dell’alfabeto sono generalmente gli ingredienti fondamentali per un viaggio tranquillo. Se riuscite a non cedere alle suppliche di chi è salito prima di voi, lo ha visto vuoto e, sperando che voi perdeste il treno, ci si è seduto sopra, se riuscite a non farvi mollare accanto una valigia ingombrante o un passeggino, siete a cavallo. Da lì si può godere dell’effetto guru, ossia quel superficiale sentimento di benessere post doccia che ti mette in pace col mondo e ti ispira un particolare sentimento di fiducia nel prossimo e nell’umanità che appartiene solitamente a chi con le persone non ci sta mai. Facile chiedere a Bill Gates o a Zuckerberg se hanno fiducia nell’umanità, chiedetelo a una impiegata delle poste o ad un pendolare e vediamo che vi risponde.
Ma queste sono divagazioni, il punto è un altro. Perché tutta questa storia non avrebbe alcun senso se all’altezza di Roma Tiburtina lui non avesse iniziato a sbuffare. Uomo, sulla cinquantina, capello corto sale e pepe con occhiale a lente gialla peperone incastrata dentro un’ improbabile montatura verde opaca, camicia bianca e jeans sabbiati.
Lo avevo già incrociato durante il giro di sguardi che era partito subito dopo il primo urlo. Succede spesso quando capita qualcosa di insolito che gli “altri”, quelli che per pura coincidenza in quel momento sono in una fase normale, si guardino per riconoscersi e farsi riconoscere nella loro temporanea normalità.
Se si escludono numerosi sbuffi non aveva ancora proferito parola, nonostante sedesse proprio accanto a quella fabbrica di decibel in tailleur.
Fino a quando, evidentemente stremato, non si girò e guardandomi dritto negli occhi con lo sguardo della disperazione iniziò ad urlare: “La porchetta signora, la porchetta ci metta quella in bocca, magari nun guarisce, ma voi mette er silenzio”.