Una storia, corta o lunga che sia, una storia a settimana fino alla fine dell’anno. Una raccolta dal titolo cupo, ma che ben descrive certe scelte che ogni giorno, più o meno consapevolmente, prendiamo e le loro conseguenze, da cui spesso è difficile venire fuori indenni.
Roy, cacciatore solitario
Roma è bella, se non nevica o fa quel freddo secco d’inverno. Roma è bella quando non fa quel caldo che arroventa i sanpietrini dove stai dribblando frotte di turisti. Roma è bella quando è temperato, tipo in primavera, Roma è bella in primavera, se non piove.
Roma è bella dentro, coi suoi marmi e le sue fontanone, bella fuori, a tratti, nonostante tutta la poetica pasoliniana di cui si prova a condirla.
Oggi piove e fa freddo e a Roma c’è lo schifo che scivola giù sul pelo dell’acqua che corre in rivoli vicino ai marciapiedi. Sono filtri di sigaretta, scontrini ripieni di chewingum, tappi di bottiglia, cartine strappate, sputi e avanzi di ratto.
Un uomo con la faccia da Robert o Michael o anche Bob sta passeggiando lungo via Marsala, lato destro, quello coperto, direzione sottopassaggio. Costeggia una esercito sfinito di barboni e disperati in sosta di ogni sorta, ma Robert, Michael o Bob se ne frega e se ne sta con l’orecchio immerso in una discussione al telefono in cui non sembra mai il suo turno di parlare.
Il tipo è uno previdente, elegante, ma previdente, infatti si è infilato in uno di quei cappotti che nonostante siano impermeabili mantengono comunque un’aria più che dignitosa, cosa che il 99% di impermeabili non si sogna nemmeno di fare.
Le scarpe però si rovineranno sicuro, almeno dall’altro lato del marciapiede ho questa sensazione, però anche basta chiaccherarmi in testa. Attraverso, attraverso, ma in obliquo, non lo voglio prendere di spalle.
Le macchine sembrano incolonnate da un bambino, in fila per uno, ferme per essere spazzate via da una manata paffuta, ma queste no, queste rimangono qui fino a stasera, piene di vecchi bambini che le faranno suonare fino allo sfinimento.
- Scusi?
Figurati se questo risponde, allunga il passo e se ne va, eccolo qua il Bale de noartri che si accinge ad uno scatto senza palla, ancora non è sicuro e allora accenno uno scatto e lui parte come il più fesso dei cani. Vai meritati anche questo inutile giorno, nel frattempo mi allaccio una scarpa.
Ora ti vengo a prendere. E corro, corro e lo rincorro e rido, una risata mi esplode in bocca e mi scopre tutti i denti, mi toglie il fiato alla rincorsa, rido e gli fisso la nuca. Non vale più niente, vale solo la nuca unico bersaglio che conta prendere, chissà che fanno i bambini incolonnati.
Il tipo va a correre, corre il martedì e il giovedì, non fa calcetto o cose simili, lui va a correre o magari fa tutte e due le cose; il ragazzo è in forma.
Non molla, a tratti accelera, la telefonata l’ha interrotta di botto, questo mi fa pensare che evidentemente avevo ragione.
Prova l’allungo nel sottopasso, dovreste vederlo su quelle scarpette in pelle bucherellata come va, sto correndo, non sto facendo finta, è vero non ho ancora allungato, ma sto correndo quanto basterebbe per scappare dal 60% di voi.
Per ora lo lascio davanti, faccio come Valentino ai bei tempi, lo frego all’ultima curva, anche perché con questa pioggia e quella bella suola rigida mi va a scivolare su quella curva stretta a destra, anche se lì rischiamo che ci vedano tutti, forse lo prendo prima.
Accelero, faccio andare le gambe, il segreto è prenderli più vecchi, in qualche modo è la natura a scegliere chi soccomberà e la natura predilige il ricambio generazionale, nonostante le dovute eccezioni.
Ce l’ho a un braccio di distanza, ha quasi mollato, non corre più con quell’energia, mi tuffo, lo abbraccio da dietro bloccandogli le braccia e cadiamo, cadiamo a terra, la sua faccia attutisce il colpo.
TOC
Abbiamo bussato al cemento con un colpo secco, un’incornata che se fossimo stati in posizione verticale su un corner avrebbe segnato un eurogol, ma siamo per terra e lui grida come una sirena con la testa completamente aperta.
- Cazzo dai non gridare?! – gli urlo in faccia, mentre dall’attaccatura dei capelli c’è una specie di fessura tipo quella per il bancomat che sgorga sangue a fiotti discontinui.
Una cascatella calda inceppata che mi macchia tutte le mani, ecco perché non mi piace assaltare da dietro finisce sempre così.
E allora mi rialzo e corro, ricomincio a correre, l’importante è non andare verso dove si è venuti, meglio puntare altrove, lancio lo scaldacollo e volo via fra le luci dei negozi cinesi dell’Esquilino.
Non sono soddisfatto, non mi è rimasto niente, non è stato bello, non c’è stata azione, niente, solo quella ferita mi regala qualcosa a cui pensare. Bella, netta, difficile da fare così con quella forma che ricorda vagamente la Bocca della Verità, quell’ex tombino che ora si atteggia a monumento solo perché l’hanno rizzato in piedi.
Solo quella ferita, sì forse un po’ anche quella fuga galoppata, ma senza inseguitori non rientra neanche nella categoria di fuga e rimane in quella di corsa, corsa a vuoto, running.
Per il resto niente, mai una gioia e come ti sbagli.
E allora dentro il prima bangla e Peroni poi dritto alla metro San Giovanni. Però la gente, il problema è tutta questa gente, siamo sempre di più e poi a Roma oggi piove e tutto fa schifo.