Una storia, corta o lunga che sia, una storia a settimana fino alla fine dell’anno. Una raccolta dal titolo cupo, ma che ben descrive certe scelte che ogni giorno, più o meno consapevolmente, prendiamo e le loro conseguenze, da cui spesso è difficile venire fuori indenni.
Giovanni, lo stufo
Ci sono certe cene che vanno fatte, almeno così hanno sempre detto nell’ambiente. Se vuoi lavorare, certe cene vanno fatte, per intessere relazioni, fare amicizie interessate, trovare nuovi agganci, insomma almeno un paio di volte al mese ci si deve sottoporre a questa fiera della falsità.
Ed io così ho fatto, con una certa costanza e diligenza senza saltarne una negli ultimi 35 anni della mia vita, diventando l’animatore discreto della gran parte di quelle serate. Officiavo le messe a tavola e indirizzavo le processioni di iban verso il cocktail bar dove fra un bicchiere e tanto ghiaccio stringevo amicizie, allargavo il giro, facilitavo e concludevo accordi; oltre ad accollarmi l’onere organizzativo del burraco di beneficienza, il mercante in Fiera natalizio e tutte le manifestazioni sportive: dal torneo di calcetto a quello di tennis.
Il fatto è che quella sera non ne potevo più, sarà stata la giornata intensa, gli acciacchi alla schiena o che più semplicemente, senza che me ne fossi accorto, si era colmata la misura della mia pazienza. Notavo tutte quelle cose che avevo sempre notato nel corso degli anni, ma stavolta le vedevo tutte assieme a formare una squallida coreografia fatta di pelle cadente truccata, di gioielli polverosi tirati fuori per l’occasione che a fine serata torneranno al buio delle loro casseforti, di abiti con le spalline e posture impostate.
E poi quelle conversazioni di chi si conosce troppo per stare in superficie e troppo poco per andare veramente a fondo. La crisi, gli extracomunitari, i figli che non facciamo più e quelli degli altri che sono sempre di più, l’ignoranza degli altri, il nostro talento non valorizzato, le stagioni che cambiano, l’importanza di mangiare sano. E quando arrivarono ai complimenti per l’eleganza dei bicchieri, presi la palla al balzo e con un salto felino ne afferrai uno e dissi:
– Io signori vi saluto e annego in questo elegante bicchier d’acqua. Ci vediamo di là! – inspirai tutta l’acqua dal naso facendola scendere nei polmoni, poi iniziai a rantolare, come un tonno appena pescato, sul marmo di quell’elegante sala da pranzo.