Una storia, corta o lunga che sia, una storia a settimana fino alla fine dell’anno. Una raccolta dal titolo cupo, ma che ben descrive certe scelte che ogni giorno, più o meno consapevolmente, prendiamo e le loro conseguenze, da cui spesso è difficile venire fuori indenni.
Guido, arbitro dalla nascita
Arbitri si nasce, lo si diventa solo se si è particolarmente inclini al masochismo.
Fin da bambino mi sono accorto che far rispettare le regole del gioco mi interessava molto di più del gioco stesso e mentre gli altri si affaccendavano a scegliersi l’un l’altro per fare le squadre, io contavo i passi che dividevano i pali improvvisati delle due porte, pronto ad assumermi il ruolo più delicato.
Con il passare del tempo nulla cambiò e quando, da adolescenti, ci trovavamo per guardare le partite, gli altri si esaltavano davanti alle giocate del beniamino di turno, io guardavo l’arbitro. Non me ne capacitavo come non potesse essere affascinante anche per gli altri, con quella sua divisa diversa da tutti, destinato a inseguire la palla per 90 minuti senza poterla mai toccare.
Un uomo solo dentro al campo concentrato a controllarne altri 22, custode e garante delle regole, una figura senza epica di contorno, con l’unica speranza di rendersi invisibile per non diventare il bersaglio di tutti.
Ecco perché dopo aver fatto il corso e conseguito il patentino, ho iniziato ad arbitrare. Non mi sono mai pentito, neanche di fronte alle minacce che scoccavano da qualche gradinata scalcinata o agli sputi di un dieci improvvisato.
Non mi pento neanche adesso che sento scivolare via la vita sotto ai calci e ai pugni di un’intera squadra su questo campetto terroso senza spalti. Perché per quanto possano picchiare, quello era rigore e tale rimane, anche senza moviola. E poi arbitri si nasce.
L’ha ribloggato su pepp8.