18. Tommaso

Una storia, corta o lunga che sia, una storia a settimana fino alla fine dell’anno. Una raccolta dal titolo cupo, ma che ben descrive certe scelte che ogni giorno, più o meno consapevolmente, prendiamo e le loro conseguenze, da cui spesso è difficile venire fuori indenni.

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Tommaso, il curioso tardivo

Tommaso scoprì l’universo per caso in un lunedì qualunque. Era uscito di casa verso le 6 e 30 in bicicletta per andare a lavoro, dopo una spremuta di melograno e due biscotti ai cereali e come ogni mattina, durante il tragitto, recitava un mantra dietro il bavero del giaccone. Da ateo timoroso si confessava con se stesso e da buon cristiano finiva sempre con un’assoluzione, ma quella volta nella bocca semiaperta masticava altre questioni. Non riusciva a togliersi dalla mente un discorso che aveva sentito, o meglio un frammento di un discorso che aveva ascoltato in quel genere di programmi che di solito non guardava mai e di cui non si ricordava il nome, nemmeno pedalando.

Era appena finita la partita, stava facendo zapping in cerca di qualcosa in cui inzuppare il cervello, quando si era trovato di fronte a questa donna anziana, incontro inusuale per quell’ora in tv. All’inizio fu proprio la visione della vecchia che lo spinse a non cambiare canale, poi sentì le prime parole: “Non sappiamo niente. Quali sono le superfici più vaste che ci circondano? Il cielo e il mare. L’acqua copre il 70% della superficie del pianeta e noi cosa conosciamo degli oceani? Poco, nonostante abbiamo contribuito al loro inquinamento e alla scomparsa di molte delle specie che lo popolavano. E per quanto riguarda l’Universo idem. Conosciamo solo, e in parte, la struttura del 10% della materia che lo compone, secondo recenti stime sarebbe popolato da 2 mila miliardi di galassie, ognuna di queste con milioni o miliardi di stelle, a seconda delle grandezza, e ci sarebbe un sistema solare che conterebbe almeno 7 pianeti simili alla Terra. Tutto il resto, il 90%, lo chiamiamo materia oscura, altrimenti ci salterebbero le tre leggi di Keplero, ma sopratutto ci prenderebbe lo sconforto”. Pubblicità.

Quel suo cervello impigrito dalla routine aveva deciso di riattivarsi all’improvviso, registrando tutte le parole di quel discorso ascoltato per sbaglio e che adesso vagava per tutto il corpo sull’onda delle sinapsi. Pensava a tutte quelle stelle, a quei pianeti lontani, immaginava l’infinito e provava a farselo entrare in testa, i buchi neri, materia che non conosciamo, lo spazio in espansione, ma su cosa? Cosa fa da sfondo all’universo, su che cosa si espande? Cosa accade dentro i buchi neri? E ogni domanda che non trovava risposta veniva seguita da un’altra domanda fino a quando il panico non lo sommerse. Frenò e si fermò a riprendere fiato, si passò il palmo sulla fronte, come a cancellare ogni pensiero e ripartì; poi il turno a lavoro fece il resto, soffocando ogni tipo di pensiero, d’altronde la merce è tanta, ha nomi svedesi e le persone che entrano, molto spesso, non sanno quello che vogliono.

Però quel discorso gli ritornava in testa come un senso di colpa, bastava un attimo, un momento in cui la mente si trovava priva di distrazioni e quel tarlo tornava a rosicchiare. Nonostante tutto passò qualche giorno prima che si decidesse ad affrontare la situazione.

Troppo vecchio per prendersi una laurea in fisica, troppo pigro per aggiornarsi sulle conoscenze umane, troppo povero per un viaggio spaziale, gli parve che l’unica via percorribile per poter colmare un vuoto che per troppi anni aveva ignorato, era quella empirica. Avrebbe dovuto vedere l’universo con i suoi occhi.

Fu così che nacque l’idea del razzo, ma ci vollero più di 4 anni prima che prendesse forma il: Curiosity Home Shuttle, un bozzo metallico da 53 mila euro, tutti i risparmi di una vita, spinto da 6 motori a propano, una pala di elicottero e una turbina elettrica. Sulla punta aveva ricavato una cabina in vetroresina dove era riuscito ad incastrare un vecchio sedile di un motoscafo che aveva equipaggiato con due cinture di sicurezza di una vecchia Ford da rally.

Fra il punto di lancio in mezzo al giardino e lo spazio cosmico c’erano 2500 chilometri, circa cinque strati atmosferici da attraversare senza congelarsi o scoppiare in volo, prima di poter dare un senso a quell’impresa senza ritorno.

Il Curiosity Home Shuttle non venne sottoposto a nessun test e un sabato pomeriggio verso le 15 iniziò le manovre di decollo, mentre tutto intorno il vicinato si era riunito, dietro le staccionate di legno che delimitavano il giardino, per assistere all’impresa.

Dopo 5 minuti abbondanti di rullaggio delle pale il bozzo si sollevò ondeggiando, poi uno ad uno si accesero i motori e, nonostante non fosse previsto, quasi in contemporanea si azionò la turbina. Furono attimi di tensione, poi nel trambusto metallico si fece largo un timido applauso e il Curiosity si allontanò, oltre le nuvole, puntando la troposfera senza indugio, ancora intatto.

Si racconta che si sia schiantato poco dopo, ma nessuno ha mai ritrovato i resti, chi dice che si sia smaterializzato nella termosfera e chi sostiene che ce l’abbia fatta per poi ricadere come un meteorite in mezzo all’oceano Atlantico, ma anche di questo nessuno ha le prove.

 

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