Una storia, corta o lunga che sia, una storia a settimana fino alla fine dell’anno. Una raccolta dal titolo cupo, ma che ben descrive certe scelte che ogni giorno, più o meno consapevolmente, prendiamo e le loro conseguenze, da cui spesso è difficile venire fuori indenni.
Antonio, cameriere del pane
– Prego signore posso servirle del pane? Oggi presentiamo una selezione composta da: pane integrale, pane a lievitazione naturale, pane di farina di mais, pane ai semi di papavero, pane da farina tipo 3 macinata a pietra.
Non è che sognassi di diventare un cameriere, diciamo che mi sono svegliato troppo tardi e quando l’ho fatto non è che avessi gran voglia di mettermi sotto a studiare per trovarmi 15 ore al giorno in un ufficio. E’ stato più il risultato finale di tante scelte prese per inerzia, come quando mi iscrissi all’alberghiero dopo aver saputo che mi avrebbero insegnato un mestiere, l’unica via di uscita dalle assemblee universitarie e dalle lingue morte. E una volta completati i 6 anni di scuola il cameriere mi sembrò la cosa più ovvia da fare, anche solo per togliermi di casa.
Come prima esperienza feci il runner sottopagato a nero in una trattoria turistica, vicino alla stazione, specializzata nella pasta scotta. Poi mi licenziai e andai a lavorare in un ristorante giapponese gestito da cinesi, un’esperienza che mi ha insegnato a diffidare del vino della casa. Al secondo mese in cui ero lì iniziarono a chiedermi di raccogliere i rimasugli di vino rosso dalle bottiglie e dai calici lasciati dai clienti, per mischiarli in delle bottiglie vuote che sarebbero state successivamente servite come ‘vino della casa’ alla modica cifra di 10 euro. Un gioco che andò avanti per molti mesi fino a quando un cliente non chiamò i Nas dopo essersi ritrovato nel bicchiere un mozzicone di sigaretta, finito lì dopo chissà quanti travasi da un bicchiere o una bottiglia usati come posacenere.
Erano già 5 anni che lavoravo e l’unica cosa che aveva ottenuto era un’ernia del disco lombare, fu allora che maturai la volontà di diventare qualcuno nel mio settore, non sarei più stato un cameriere, sarei stato il cameriere: sempre al servizio, mai servizievole. Così decisi di specializzarmi, dovevo farmi un nome, avere un campo su cui muovermi e iniziai a studiare la panificazione.
Mi feci assumere in un forno noto in città, ci lavorai per tre anni, sei notti alla settimana apprendendo tutto ciò che potevo apprendere, prima di presentarmi nel santuario della ristorazione. L’unico tre stelle Michelin in tutta la regione, l’unico che prevedeva un ruolo come cameriere addetto al pane, l’unico in cui avrebbe avuto senso fare questo lavoro.
– Per il menù degustazione a base di pesce le consiglio un pane leggero a lievitazione naturale, cotto a legna, mentre per la signora consiglierei del pane azzimo.
Per quel lavoro avevo tutto: un buon curriculum, una buona presenza e un’ottima parlantina, controllata e mai oltre i limiti. Una telefonata, due settimane dopo il colloquio, confermò le mie sensazioni, ero stato preso, ero ufficialmente il cameriere addetto alla selezione del pane dell’Osteria Arcangelo Michele, dove creava le sue ricette il famoso chef Flavio Asproni.
Furono anni magnifici, ho servito il pane a politici, imprenditori, calciatori famosi, anche a qualche cantante, mi sembrava di aver trovato un posto nel mondo, piccolo, forse anche marginale, ma il mio. Poi un giorno entrò il re della pelle, un facoltoso cliente che avevo servito per più di una dozzina di volte e con il quale avevo avuto l’occasione di scambiare qualche chiacchiera formale, ma quel giorno si vedeva che qualcosa non andava. Si arrabbiò subito col maitre che gli aveva proposto la carta delle acque.
– Sta cazzo di carta delle acque è una pagliacciata! Le acque sono tutte uguali, ma quali durezza e durezza. Portami la solita e non la fare tanto lunga.
Quando se la prese con il sommelier reo di non avere un Barolo del ’56 di una cantina sconosciuta anche al nostro rifornitore, decisi di intervenire spingendomi ben oltre le mie mansioni. Ero sicuro del risultato che avrei ottenuto e della conseguente promozione, per questo non esitai.
– Dottor Sanzini buona sera le posso allietare l’attesa con qualche focaccina genovese o un pò di pane guttiau di prima qualità?
Il Sanzini si rigirò come certi cani selvatici e quando aprì la bocca, ben prima di emettere alcun suono, capii di aver fatto un’immensa sciocchezza. La conferma arrivò pochi attimi dopo:
– E lei chi cazzo sarebbe?
– Dottor Sanzini sono Antonio il cameriere addetto al pane, l’ho servita personalmente molte volte…
– Beh pensa a quanto sei fondamentale se non mi ricordo neanche di te. Quante volte sono venuto in questo ristorante? Cento? Beh mi ricordo tutti, da Gustavo il maitre rompicoglioni, al sommelier incapace, alla fica che fa i caffè, ma tu proprio non ti ricordo!
Probabilmente era un castello di carte, una soddisfazione di cartone, una felicità fatta di nuvola, il fatto è che mi crollò tutto addosso, in un attimo si svelò ai miei occhi come mi dipingevano i miei clienti, in fondo gli unici che potevano apprezzare o meno il mio lavoro. Provai a dirmi che era solo l’opinione di un cliente che stava vivendo una giornata storta, uno fra tanti, per quanto affezionato poteva essere, ma l’abisso mi aveva già preso per la gola.
Potevo esistere come non esistere, il mio lavoro lo poteva fare un cestino, ma non avrebbero potuto far pagare il pane così tanto e allora eccomi, la giustificazione umana ad un prezzo irragionevole. Esistevo senza esistere, ero un fantasma di cui nessuno ricordava la faccia, in quel momento l’unica via di uscita mi sembrò il coltello del pane.
Mi sgozzai, davanti a tutti, inondando di sangue le camicie, le tovaglie immacolate e quelle facce attonite di fronte a quell’harakiri di quel giovane cameriere addetto al pane che nessuno aveva mai notato.
[…] via 21. Antonio — nonsonochipensi […]