Una storia, corta o lunga che sia, una storia a settimana fino alla fine dell’anno. Una raccolta dal titolo cupo, ma che ben descrive certe scelte che ogni giorno prendiamo e le loro conseguenze, da cui spesso è difficile venire fuori indenni.
Jennifer, figlia della pubblicità degli anni Novanta
Faccio parte di quelle generazione di cavie da marketing. Noi siamo stati i primi ad essere colpiti in maniera scientifica, nell’ignoranza più totale di chi operava. Ci hanno somministrato pubblicità a dosi massicce prima di affinare le tecniche, ci hanno fatto comprare milioni di cazzate, ci hanno fatto spendere un sacco di soldi per scarpe orrende che i testimonial accettavano di indossare solo dietro lauto pagamento, ci hanno reso schiavi dei gadget, delle ansie di un modello di vita insostenibile di cui siamo i primi complici. Ci hanno bombardato di jingle stravolgendo i nostri orizzonti di conoscenza.
Per me, per anni, “Take five” di Dave Brubeck è stata solo la musica degli spot di Banca Mediolanum e lo stesso vale per “Here comes the Sun”, conosciuta prima come il tappeto musicale delle pubblicità dell’ “Allianz” poi come pezzo dei Beatles e ricordo ancora quando sentendo Chuk Berry cantare “You Never Can Tell” da un’autoradio in mezzo al traffico gridai:
– PAVESINI!
Adesso è diverso, è più subdolo, più ingegnoso, ma meno invasivo, meno ipnotico e crudele degli esperimenti che abbiamo subito noi. Ora ti spiano, non hanno bisogno di aggredirti, ora sanno tutto e sulla base di ciò che gli hai detto, consapevolmente o no, ti propongono loro cosa comprare. A noi tenevano gli occhi aperti a forza, ci bisbigliavano notte e giorno nelle orecchie, ci tendevano agguati nei supermercati. E noi li lasciavamo fare, inseguendo un altro vuoto da riempire.
Almeno io, io che non ho avuto un punto di riferimento educativo che mi potesse offrire un’opportunità a tutto quel mondo inesistente pieno di cose indispensabili. Almeno io che dissi basta, in un giovedì afoso, sgolandomi un intero flacone di candeggina in offerta.