39. Giancarlo

Una storia, corta o lunga che sia, una storia a settimana fino alla fine dell’anno. Una raccolta dal titolo cupo, ma che ben descrive certe scelte che ogni giorno prendiamo e le loro conseguenze, da cui spesso è difficile venire fuori indenni.

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Giancarlo, condomino modello

Le tue virtù saranno sempre in relazione all’ambiente in cui vivi che le saprà esaltare o fartele dimenticare.

Giancarlo era un condomino modello. 47 anni, single, abitava al primo piano di una palazzina sgarrupata in un posto di passaggio fuori Milano, con un gatto rosso senza un nome. A differenza di altri la sua condizione di uomo solo non l’aveva portato all’abbrutimento. Sempre puntuale nel pagamento delle tasse condominiali, presenza fissa nelle riunioni di condominio, attento e rispettoso delle aree comuni, gentile verso tutti. Giancarlo si era costruito nel tempo una sua condotta in cui ogni giorno trovava una sua pace.

Una quotidianità fatta di differenziata, di sabati all’isola ecologica, di raccolte di pile esauste, di buon giorni e buone sere augurati durante i rari incontri sulle scale, mai ricambiati. Sembrava muoversi come un gattino in una landa desolata di bufali.

Tutto il resto del palazzo viveva come se non ci fossero state altre persone lì dentro, come se quelle porte che decoravano i pianerottoli interrompendo la sequela di scale non custodissero altri mondi, altre famiglie, ma fossero lì per bellezza. Come se tutto il condominio fosse una di quelle case giganti comprate per soddisfare le singole necessità di una famiglia numerosa e che ora accolgono solo l’anziana madre rimasta vedova, costretta a chiudere gran parte delle stanze, relegandosi in salotto.

Nel tempo quel condominio si era trasformato prendendo la forma di tutti gli egoismi che lo abitavano. Una marea di biciclette rugginose invadevano l’androne, il parcheggio condominiale era diventato un cimitero di macchine abbandonate,  i due cassonetti dell’immondizia che facevano la guardia al portone d’ingresso erano sempre ricolmi di qualunque porcheria, talmente schifosa da far dubitare che qualcuno la potesse aver tenuta in casa fino a qualche ora prima. Lavatrici, frigoriferi, televisioni, materassi. Nel raccoglitore dell’umido traboccavano i sacchi di plastica per l’imballaggio delle merci marchiate con il nome del negozio dell’inquilino del terzo piano. Il maresciallo dei carabinieri in pensione, di stanza al quinto piano, amava invece tappezzare il marciapiede con la merda del suo cane corso a cui voleva un gran bene, ma evidentemente non abbastanza per raccogliergli le feci. La vecchia pazza dell’ultimo piano non apriva a nessuno da anni, prima usciva solo per fare la spesa, poi quando ha scoperto la spesa a domicilio si è definitivamente sepolta in casa. Il problema è che nel suo bagno c’è una perdita che negli anni ha provocato un’infiltrazione talmente estesa che adesso la parte di intonaco sano sembra stonare con il resto.

In 8 anni potete capire come non sia stato facile continuare a essere virtuosi in quel contesto, ma Giancarlo non si era mai fatto scoraggiare, con la forza di chi sa di stare nel giusto. Poi è arrivato un mercoledì di fine agosto, con il pulviscolo che sospeso a mezz’aria esaltava gli ultimi raggi del sole, regalando a quella periferia incrostata una cielo arancione lampada di sale. Tornato in casa l’aveva accolto la puzza di una merda fresca con cui il suo gatto senza nome aveva deciso di adornargli il piccolo tappeto kilim dell’ingresso. Sarà stata la stanchezza, la desolazione che gli affollava gli occhi, il sentimento di sconfitta che non riusciva a scrollarsi di dosso o più semplicemente la voglia di una doccia, il fatto è che crollò. Prese il tappeto, ci mise dentro il sacchetto dell’indifferenziata, insieme alla plastica, all’umido e a tutte le pile esauste, creando un bolo di merda, rifiuti e frustrazione. Poi tenendolo fra le mani lo portò giù per le scale, aprì il portone dell’ingresso con il gomito e si fiondò in strada, verso i cassonetti sul marciapiede che lo attendevano già satolli di scarti. Nonostante fosse evidente la mancanza di spazio Giancarlo decise di comunque di provarci tirando da 3 il suo bolo.

  • Ei lei? Ma che diamine fa?

Giancarlo si girò d’istinto, come risvegliato da quella voce autorevole.

  • Ora ho capito chi fa tutto questo schifo
  • No, no, no, non ha capito – iniziò a farfugliare
  • Sì, sì invece mi sembra di aver capito proprio bene
  • No guardi è la…
  • La prima volta, come no! Immagino. Si vergogni, ma a lei piace vivere in questo schifo?
  • No
  • E allora perché diavolo butta la spazzatura in quel modo, ma poi senza neanche un sacchetto, ma cosa ha buttato?

Un vigile urbano. Giancarlo ci mise un bel pò a riconoscere quella divisa, da quelle parti non ne passavano molti.

  • Cosa ha buttato…mi faccia vedere.
  • No, aspetti… – balbettò impotente Giancarlo

Il vigile con una solerzia inusuale prese il tappeto dal mucchio per srotolarlo a terra sul  marciapiede, nel frattempo tutto il palazzo sembrava essersi affacciato, tutti in piedi su quei 2 metri quadri di terrazzo a disposizione. L’ufficiale in bianco iniziò la perquisizione:

  • Pile, plastica, umido…ma…ma..ma questa è MERDA?!
  • MERDA? – urlò Giancarlo sempre più nel panico.
  • Merda – fecero eco i condomini ancora appollaiati sui balconi

Poi secondo sospesi nel silenzio e la sentenza:

  • Beh sono costretto a farle la multa.
  • Va bene, pago io. Per tutti.

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