Marrakech è cotta da un sole bianco di cui si perdono i contorni, dicono sia il più caldo dell’anno e non stento a crederci. La luce si schianta contro le mura rosse in terra battuta del Palazzo El Badi, strappando viottoli d’ombra dentro cui ci si immerge per respirare nei 48 °C della città vecchia. Siamo nella parte nord orientale della Kasbah a metà della strada che porta al quartiere ebraico, il Mellah.
I luoghi parlano, è talmente vero che nonostante lo si dica spesso non ha perso ancora senso, ma fa così caldo che è difficile immaginare ciò che fu. Queste mura rosse in terra battuta, in piedi da quasi mezzo secolo, sono a difesa di ciò che resta di uno dei gioielli dell’arte islamica. Il palazzo di rappresentanza voluto dal sultano Ahmad al-Mansur al-Dhahabi per celebrare la vittoria nella battaglia di Alcazarquirivir, nel Marocco portoghese. Un simbolo del potere, usato per le udienze solenni, le feste e per ospitare le ambasciate straniere, una meraviglia del mondo.
Ci vollero 25 anni per completare le 360 stanze, le decorazioni del cortile da 135 metri in cui era incastonata una piscina da 90 metri di lunghezza e 20 di larghezza, i marmi italiani, l’oro, gli intonaci, gli affreschi, i 53.000 m2 di legno intagliato, i 10.000 m2 di zellige, i mosaici, le fontane e i giardini. Talmente sfarzoso che venne chiamato قصر البديع, il Palazzo dell’incomparabile.
La storia iniziò quando il sultano Abd Allah al-Ghalib, ormai prossimo alla morte, nominò suo erede il figlio Abū ʿAbd Allāh Muḥammad II al-Mutawakkil, detto lo scuoiato, contravvenendo alla tradizione Sa’diana che imponeva ai sultani di nominare il proprio fratello minore. La decisione mandò su tutte le furie il legittimo discendente, Abu Marwan Abd al-Malik I, nonché zio del neo sultano, che decise di fare guerra al nipote. Così tornò dall’Algeria, dove si era rifugiato quando suo fratello divenne sultano, invase il Marocco con l’aiuto di un esercito ottomano, spedì il nipote in esilio in Portogallo e prese il potere.
Passano poco più di due anni e il nipote tornò a reclamare il trono, stavolta accompagnato dalle truppe di Sebastiano I di Aviz, re del Portogallo, socio per niente disinteressato. E’ il 4 agosto del 1578 quando sul campo di battaglia di Ksar El Kebir, le truppe del sultano Abu Marwan Abd al-Malik I si trovano schierate contro quelle del nipote usurpatore Muḥammad II al-Mutawakkil supportate da 23mila soldati portoghesi, re compreso.
Interessi diversi convergevano sulla stessa spianata di sabbia. Il sultano Malik I voleva consolidare la sua posizione sul trono, il nipote Muhammad II aspirava a riprenderselo, mentre il re Sebastiano I di Aviz, vista la crisi dei commerci con Asia e America, era interessato a sfruttare l’occasione per rimettere le mani sulle colonie portoghesi in Marocco.
Le ambizioni del Re portoghese e dell’aspirante sultano si rivelarono ben presto sproporzionate rispetto alle forze effettive che riuscirono a schierare in campo. Il sultano dispiegò oltre 60mila uomini che in 4 ore riuscirono a tenere testa ai 32mila invasori, i portoghesi subirono 9mila perdite e dovettero pagare un riscatto enorme per liberare gli oltre 16mila prigionieri.
Come spesso accade in guerra però non ci furono vincitori. I tre re morirono tutti, per questo viene ricordata come la Battaglia dei Tre Re. Sebastiano I di Aviz morì sul campo e il suo corpo non venne mai ritrovato, Muhammad II morì annegato nel tentativo di scappare e Malik I morì di vecchiaia prima della fine della battaglia. Anche Al-Dhahabi, il fratello minore del sultano, che decise di impiegare i soldi del riscatto dei portoghesi per costruire il Palazzo, farà appena in tempo a vedere la conclusione dei lavori, nel 1603, prima di morire anche lui.
El Badi continuerà a splendere fino al 1672 quando Mulay Ismāʿīl ibn ʿAlī al-Sharīf divenne sultano e decise di spostare la capitale da Marrakech a Meknes. Il trasferimento prevedeva che venisse saccheggiato anche l’incomparabile, in modo da usare i suoi pregiati materiali e i preziosi arredi per costruire la nuova reggia, nella nuova capitale. Il lavoro fu lungo e laborioso, ci vollero dieci anni per svuotarlo di tutto ciò che conteneva. Non è dato sapere se fosse uno sgarbo fra dinastie, quella alawida a quella sa’diana, una forma di economia domestica o tutte e due le cose insieme. D’altronde, se è vero ciò che si narra, nonostante le ricchezze non dovessero mancare, non doveva essere facile, neanche per un sultano, sostenere le spese delle oltre 500 concubine e degli 867 figli.
Oggi non è rimasto quasi niente, se non la forma della piscina e qualche mattonella superstite, neanche del Palazzo Reale a Meknes è rimasto granchè, oggi queste mura rossa in pisé fanno da scudo ai nidi che le cicogne hanno decise di costruire sugli ultimi bastioni.