Cliente ingrato part.4

PARTE 4 – PASTICCERIA SPAGNUOLO

“La pasticceria è la branca specialistica della cucina, è come la chimica e necessita di adeguate conoscenze che non hanno mai fine”  (I. Massari, World Pastry Stars 2019)

Proprio accanto al Focacciotto sorge l’antica pasticceria Spagnuolo. Un nonsoquantimetri quadri diviso in due da una parete che separa il laboratorio dal bancone, un microcosmo tutto specchi e trasparenze con le pareti rosa marshmallow, popolato da un terzetto tutto al femminile composto dalla proprietaria pasticciera e due bariste.

Lo spazio è piccolo, una volta tolto quello per il laboratorio e per il bancone, rimane un corridoio largo due passi e mezzo dall’ingresso, ma questo non deve averli scoraggiati se in fondo a questo miglio in scala sono riusciti a infilarci un tavolino e due sedie, forse pensate per chi volesse godere in compagnia di quella magnifica vista sul traffico di via Gallarate.

Per completare l’opera con un occhio all’efficienza energetica hanno deciso di mettere una porta scorrevole automatica che, in quella penuria di metri quadri, si apre al primo movimento disperdendo calore d’inverno e fresco d’estate in un ciclo della morte infernale. E questo accade non solo quando si è dentro, ma anche quando si cammina sul marciapiede davanti alla pasticceria, forse per un problema al sensore o per una sagace strategia di marketing.

Fatto sta che fu proprio quella porta a farmi entrare per la prima volta. Ricordo che mi si aprì alla sinistra in una caldissima domenica mattina dei primi di settembre di qualche anno fa e non potei fare a meno di varcarla per una strana forma di cortesia che spesso mi domina e mi confonde. A quel punto mangiai un bignè alla cioccolata in piedi sul bancone, giusto per non fare la figura di quello che entra e non consuma, combattuto tra il fresco dell’aria condizionata e l’afa che entrava dalla porta rimasta aperta.

Il bancone è sempre stato una meravigliosa vetrina sul lunatismo umano e su come la voglia di fare sia già un ottimo punto di partenza per fare bene qualcosa, di qualunque tipo.

Diciamolo subito: non si mangia bene, ma neanche da schifo, diciamo che siamo sotto quella che dovrebbe essere considerata la media standard che comunque a Roma è difficile da raggiungere. E’ tutto un vorrei, ma non posso. Un saprei come farlo, ma non mi va ed è in questa terra dell’incertezza che nascono i mostri. Le crostatine alla frutta ingellate da palate di colla di pesce o i cornetti marmorizzati da una coltre di glassa crepata e tutta una serie di piccole imprecisioni che però in pasticceria hanno il potere di rovinare tutto. Come se non bastasse ad aggravare il tutto ci sono due elementi che combinati insieme hanno una reazione letale: l’essere sempre aperti e avere pochi clienti. Condizione che alza, e non di poco, le probabilità di mangiare un bel bignè ripieno di una crema ormai stanca di stare lì dentro.

Nonostante tutto però un po’ per pigrizia, un po’ per affezione ho continuato ad andarci con una costanza senza senso. Due anni o poco meno. Poi l’ultima volta:

  • Ma a cosa stracazzo pensi dico io…

Non faccio in tempo a entrare che dall’oblò del laboratorio spunta la proprietaria che inizia a inveire contro una delle malcapitate bariste su un ordine non preso. A quanto pare avevano chiamato per una torta, nessuno lo aveva segnato e quando hanno richiamato per sapere a che ora potevano passarla a prendere è scattato il panico.

  • Va bene, va bene, ma ne parliamo dopo – provava a calmarla la ragazza, mentre rassicurava i suoi fedelissimi clienti ruotando un indice intorno alla tempia.
  • Ma che dopo, dopo nun te devo dì niente… mo devo core pe fa sta torta – insisteva la boss incurante delle 5 persone che affollavano il locale

Il mio turno arrivò solo quando calò il silenzio qualche strillo dopo, a quel punto indicai tre pasticcini random e provai a guadagnare l’uscita mentre le bariste, ben istruite, mi ammiccavano riguardo una certa happy hour ‘Spagnuolo’ delle 19. Probabilmente un modo per ottimizzare quelle 65 ore settimanali di apertura.

Mi era già successo di essere testimone delle loro litigate e quella non fu certo tra le più accese, ma ne subii l’effetto ‘ultima goccia’. Da allora non sono più entrato, anche se quella maledetta porta continua ad aprirsi ogni volta che ci passo davanti.

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